LA STORIA DI UN CARABINIERE DEL ROS CHE SI È INFILTRATO IN UNA ’NDRINA CALABRESE: “CI SONO SOGGETTI CON CAPACITÀ MANAGERIALI INIMMAGINABILI E CONTATTI IN TUTTO IL GLOBO. STANNO A BOVALINO E QUATTRO GIORNI DOPO TE LI RITROVI IN SUDAMERICA, POI DI NUOVO A BOVALINO AL BAR. E MUOVONO MILIONI – HO VISTO MOVIMENTARE UNA TRENTINA DI MILIONI GRAZIE A UN CIRCUITO CRIMINALE CINESE, UNA SORTA DI MONEY TRANSFER CLANDESTINO. I SOLDI VENIVANO RITIRATI E CINQUE MINUTI DOPO ERANO DISPONIBILI IN UN PAESE LATINO AMERICANO – I CLAN TI METTONO ALLA PROVA, VERIFICANO TUTTO QUELLO CHE DICI O RACCONTI”…
Se il suo nome si potesse rivelare, rimarrebbe in cronache e annali. Ma “Paolo” è un infiltrato, il primo italiano che sia riuscito a “bucare” un clan di ’ndrangheta e il suo nome reale deve rimanere segreto. Si sa e si può dire che è un carabiniere del Ros, che ha esperienza in Italia e all’estero e che quella appena conclusa non è la sua prima operazione coperta. Per anni ha raccolto informazioni su movimenti finanziari, traffici, latitanze «inclusa quella di Rocco Morabito», ma soprattutto su rapporti e contatti. Imprenditori insospettabili inclusi. Un tesoro di informazioni divenute essenziali per la maxi inchiesta “Eureka”, che la scorsa settimana ha portato a più di duecento arresti in tutta Europa.
Chi era Paolo? Per quanto tempo è diventato lui?
«Due anni e mezzo circa. Ero un insospettabile legato a contesti criminali, utile a risolvere problemi grazie a rapporti, contatti e ganci in Italia e all’estero».
Non ha mai ha avuto paura che la copertura saltasse?
«Tutto è stato pianificato, ma bisogna fare attenzione a qualsiasi cosa. I clan ti mettono alla prova, verificano tutto quello che dici o racconti, le persone che sostieni di conoscere, le circostanze».
Dopo aver indagato per anni sulla ’ndrangheta, che effetto fa trovarsi dentro?
«È molto più pericolosa e ramificata di quanto si possa immaginare».
Com’è possibile che paesini della Locride di poche migliaia di anime siamo al centro di traffici mondiali e transazioni milionarie?
«Non devono ingannare. Non tutti sono allo stesso livello, ma ci sono soggetti con capacità manageriali inimmaginabili e contatti in tutto il globo. Stanno a Bovalino e quattro giorni dopo te li ritrovi in Sudamerica, poi di nuovo a Bovalino al bar. E muovono milioni».
Lo ha visto con i suoi occhi?
«Ho visto movimentare una trentina di milioni grazie a un circuito criminale cinese, una sorta di money transfer clandestino. I soldi venivano ritirati e cinque minuti dopo erano disponibili in un Paese latino americano».
Ha mai avuto la sensazione che ci fosse una regia più grande dietro l’azione dei singoli clan?
«La ’ndrangheta è unitaria, c’è sempre una sorta di mutuo soccorso fra le diverse famiglie».