Sta per scoppiare la bomba ex Ilva

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Per far ripartire l’ex Ilva servirebbe un miliardo di euro entro la fine dell’anno. Senza queste risorse la gestione degli […]

Per far ripartire l’ex Ilva servirebbe un miliardo di euro entro la fine dell’anno. Senza queste risorse la gestione degli impianti è a rischio. La struttura commissariale che sta guidando l’acciaieria nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, però, riuscirà a spendere la metà, 500 milioni.

«Occorre un miliardo, ma i soldi non ci sono, il compito dovrà finirlo chi comprerà la fabbrica», spiega a La Stampa una fonte vicina al dossier. L’obiettivo dei commissari è garantire una produzione accettabile, visto che a Taranto funziona solo un altoforno e portare l’azienda a un livello minimo in vista della vendita. Il governo vuole cedere l’Ilva nel giro di sei mesi, ovviamente i potenziali acquirenti pretendono una società pulita e senza debiti.

La situazione è drammatica perché di quei 500 milioni da mettere sul piatto per assicurare l’operatività dei siti industriali, non si può contare nemmeno sul prestito ponte da 320 milioni disposto dal governo di Giorgia Meloni.

Un’altra fonte è pessimista: «Non è detto che arrivino, siamo ben lontani dal via libera della Commissione europea agli aiuti di Stato». Il ministro delle Imprese Adolfo Urso non si sbilancia e interpellato da questo giornale non vede particolari intoppi sull’ok di Bruxelles al prestito: «L’interlocuzione con la Commissione procede al meglio secondo i tempi previsti».

Per l’amministrazione straordinaria sono stati inseriti 150 milioni nel decreto Agricoltura proprio con lo scopo di assicurare la continuità operativa degli impianti, un importo che rappresenta una goccia nel mare. Si tratta di soldi che giacciono sul fondo speciale costituito con il patrimonio che i Riva avevano portato all’estero e usato in questi anni per finanziare la bonifica.

I tre commissari – Giancarlo Quaranta, Davide Tabarelli e Giovanni Fiori – quando hanno preso in mano la pratica avevano stimato un costo per il rilancio dell’azienda di circa 300 milioni, tuttavia il conto è salito rapidamente, appunto, a un miliardo.

Il debito è un altro ginepraio che chiama in causa non solo la struttura commissariale e il governo, ma anche il Tribunale e ArcelorMittal, il colosso anglo-indiano che acquisì l’Ilva alla fine del 2018. Comunque, i debiti che i creditori hanno chiesto al Tribunale di mettere al passivo si attestano a circa 1,5 miliardi di euro, escludendo però il debito che la holding aveva verso Invitalia per il finanziamento in conto capitale, cifra che ammonta a 680 milioni.

Tornando alle ipotesi di rilancio dell’acciaieria, i commissari stanno lavorando alle fonti di finanziamento per coprire i 500 milioni: se Bruxelles non darà luce verde al prestito ponte da 320 milioni bisognerà contrarre nuovo debito. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso spera che si riesca a vendere l’Ilva quest’anno, perciò negli ultimi giorni tre potenziali investitori hanno visitato i siti principali di Taranto, Genova e Novi Ligure. Si tratta degli ucraini di Metinvest, degli indiani di Vulcan Steel e Steel Mont. L’obiettivo dell’esecutivo è vendere l’Ilva in un blocco unico, negando qualsiasi ipotesi di “spezzatino”: la logica è quella di tenere tutto unito perché Genova e Novi Ligure sono ritenute complementari a Taranto.

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