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Sinner è fuggito come un ladro da Parigi?

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Tante vittorie esaltanti e qualche sconfitta inattesa. Il bilancio dello sport italiano alle Olimpiadi di Parigi è più che positivo. Spiace per Tamberi, eroico a passare in pochi minuti dall’infermeria alla pedana del salto in alto, spiace che Jacobs abbia dovuto cedere lo scettro dei cento metri nonostante li abbia corsi ad altissimi livelli cronometrici, […]

Tante vittorie esaltanti e qualche sconfitta inattesa. Il bilancio dello sport italiano alle Olimpiadi di Parigi è più che positivo. Spiace per Tamberi, eroico a passare in pochi minuti dall’infermeria alla pedana del salto in alto, spiace che Jacobs abbia dovuto cedere lo scettro dei cento metri nonostante li abbia corsi ad altissimi livelli cronometrici, spiace per tutte quelle medaglie che sembravano a portata, ma che sono sfuggite per un soffio.

Ma per lo sport azzurro e per l’Italia la sconfitta più bruciante è la sfida che non abbiamo visto a prescindere da come sarebbe andata a finire, quella del numero uno del tennis mondiale Jannik Sinner che da Parigi è scappato come un ladro accampando una fastidiosa tonsillite che peraltro non gli ha impedito di giocare proprio in questi giorni al torneo di Montreal.

È chiaro a chiunque che Sinner ha disertato le Olimpiadi per evitare il rischio di perderle o di incappare in infortuni che avrebbero compromesso la possibilità di presentarsi al meglio agli imminenti Open Usa, che non hanno in palio una medaglia più o meno dorata del valore commerciale di pochi euro, ma una montagna di dollari. Legittimo, per carità, ma quanta tristezza vedere un campione di tale razza comportarsi come il più classico dei furbetti nostrani, quelli che in ogni campo, sportivo e non, «siamo italiani, viva il tricolore» ma solo se e quando conviene alle proprie tasche.

Il forfait di Sinner non è un dramma nazionale, ovviamente, ma paragonato alla generosità di tanti atleti – alcuni già di fama, altri famosi per un solo giorno – che abbiamo visto all’opera in queste due settimane di Giochi dice molto su come anche lo sport rischi di essere castrato dal processo di robotizzazione, uomini-algoritmi che inseguono la perfezione e il successo non spingendo muscoli e cuore ma tasti di un computer al quale hanno affidato cervello e portafoglio.

Ce ne faremo una ragione, ma io appartengo a un’altra generazione, quella che vide capitan Baresi giocare e perdere la finale dei Mondiali del ’94 con il menisco riattaccato da poche ore. Vuoi mettere con Ayrton Senna e Marco Pantani, che se avessero fatto come Sinner probabilmente sarebbero ancora vivi. Ma non sarebbero mai diventati immortali.

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