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Segreti di stato in mano agli hacker?

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“Ho sempre lavorato per lo Stato e per il bene dello Stato. In questa vicenda ho avuto un ruolo marginale […]

“Ho sempre lavorato per lo Stato e per il bene dello Stato. In questa vicenda ho avuto un ruolo marginale che potrò spiegare agli inquirenti non appena ne avrò la possibilità”. Il Fatto ha contattato Gabriele Edmondo Pegoraro, indagato dalla procura di Milano – che ne ha chiesto l’arresto – per aver inserito trojan e violato pc e smartphone di manager e giornalisti.

Pegoraro precisa innanzitutto di non “essere latitante” e che è raggiungibile. Ma poi, quando affrontiamo gli argomenti dell’inchiesta che lo riguarda, precisa: “Non posso entrare nel dettaglio perché ho collaborato con le agenzie”. E per agenzie, come vedremo, intende i servizi d’intelligence. “Soprattutto nel settore della Difesa”, aggiunge, spiegando che non può “violare segreti di Stato legati alla sicurezza del Paese”.

Toccherà ai magistrati verificare se quanto sostiene è vero. Il punto, però, è che stando alle sue stesse parole saremmo dinanzi all’ennesimo caso di legami tra il gruppo di “spioni” di via Pattari 6, la Equalize guidata dall’ex super poliziotto Carmine Gallo, finita sotto inchiesta della Procura di Milano, e personaggi legati ai nostri servizi segreti.

Nel caso di Pegoraro, peraltro, come vedremo c’è anche molto di più. Per lo stesso tipo di reati, infatti, Pegoraro è indagato anche in un’inchiesta della Procura di Torino, giunta adesso in fase di udienza preliminare, che riguarda azioni di spionaggio industriale ai danni della KeraKoll. E non è un caso che gli stessi carabinieri parlino di “convergenze investigative” con l’indagine torinese.

“E già accaduto in passato” conclude Pegoraro, “come per le indagini di Torino, che analizzando i miei dispositivi, è stato verificato che avessi materiale sensibile, legato appunto alle mie collaborazioni con le agenzie di intelligence e ai segreti di Stato connessi alle mie collaborazioni”. Questa la versione di Pegoraro, ovviamente tutta da verificare, ma c’è dell’altro che rende davvero peculiare la sua posizione.

E nelle fatture della società di intercettazioni per cui lavora, la Bitcorp, figurano come clienti il Comando delle forze speciali dell’esercito, la Direzione investigativa antimafia, le procure di Genova, Milano e Torino. È lo stesso uomo che, si legge negli atti, “avvalendosi del dark web e di siti web presenti in rete, ovvero inserendo captatori informatici trojan, tentava e in alcune occasioni riusciva a carpire indebitamente informazioni, fornendole ai committenti Di Iulio e Rovini”.

Il 18 gennaio 2023 è una giornata frenetica per il gruppo di via Pattari. Bisogna affrontare una criticità: l’immediata cancellazione di tutte le chat e qualsiasi traccia di conversazione tra i componenti della squadra. Quindi dotarsi di un sistema di protezione efficace che, annotano i carabinieri del Nucleo operativo di Varese, viene installato nei cellulari proprio poche ore dopo un incontro in Procura a Milano nel quale gli investigatori informavano i magistrati sull’attuabilità di inserire un trojan nell’apparecchio di Nunzio Calamucci, la mente tecnologica del gruppo. Operazione che, a questo punto, salta.

Nelle migliaia di pagine di atti dell’inchiesta su Equalize, la società presieduta dall’autosospeso presidente di Fondazione Fiera Milano attiva nella creazione di presunti dossier illegali ed esfiltrazione illecita di contenuti dalle banche dati nazionali, chi indaga rimarca come la gestione del potere «derivante dalla capacità di “sapere ogni cosa” costituisca l’elemento di maggiore pericolosità del sodalizio».

La consapevolezza di essere «privilegiati, intoccabili e di possedere informazioni in grado di avere un’immensa capacità persuasiva e ricattatoria costituisce il manifesto di questa associazione». Che a un certo punto, però, si sente vulnerabile. A dicembre 2022, riporta l’informativa, il gruppo scopre un’attività della Procura di Torino sul conto della SKP di Daniele Rovini e su altri soggetti legati ad Equalize.

L’analisi forense dei dispositivi di Rovini, rappresentante legale di SKP Servizi di sicurezza, e dell’ingegnere informatico Gabriele Pegoraro «ha portato ad accertare accessi abusivi ai sistemi informatici protetti da misure di sicurezza, carpendo informazioni da pc, tablet e smartphone di soggetti ignari».

La collaborazione con Equalize, stando alle carte, si sarebbe concretizzata nel presunto confezionamento di documenti per conto di Paolo e Marco Besana (indagati), figli del fondatore dell’azienda di modellismo Bburago alle prese con una contesa per l’eredità.

Perciò il gruppo di via Pattari si allarma ed «emblematiche sono le contromisure adottate per quanto riguarda il timore di essere oggetto di perquisizione e indagine». I carabinieri intercettano le conversazioni tra Calamucci, gli hacker Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli mentre negli uffici dietro al Duomo «sono intenti a “cremare” i vecchi telefoni, ovvero a resettarli in maniera definitiva».

Dopo di che intervengono «alcune coincidenze», così vengono definite nell’informativa, che impediscono agli investigatori di attivare i servizi di intercettazione nei confronti di Calamucci. Il 18 gennaio, a seguito della cancellazione delle chat, lui e Camponovo sostituiscono i loro cellulari «con un nuovo modello di tecnologia non compatibile con il trojan “0 click” fornito dalla società “GR Sistemi Srl”», il cui partner tecnologico è la società israeliana Bindecy Ltd titolare del sistema denominato Crispr.

Negli atti, pur senza trarre conclusioni, i carabinieri fanno notare che «il cambio dei telefoni dei due indagati è del giorno seguente la riunione tenutasi il tardo pomeriggio del 17 gennaio 2023 presso la Procura della Repubblica di Milano dove si informava della fattibilità circa l’esecuzione del trojan sul telefonino di Calamucci».

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