E’ morta Sandra Milo, aveva compiuto 90 anni nel 2023. Si è spenta nella sua abitazione e tra l’affetto dei suo cari come aveva richiesto. Lo ha reso noto la famiglia. Sandrocchia, come l’aveva soprannominata Federico Fellini per il quale è stata una musa, è stata una delle attrici più popolari del cinema italiano. Sandra Milo, nata a Tunisi l’11 marzo 1933 (87 anni). Attrice. «Macché attrice. Sandra Milo è “un’operaia che lavora in fabbrica” (la definizione è sua)» (Daniela Mastromatte, il Giornale, 9/12/2019). «All’anagrafe fa Salvatrice Elena Greco ma per tutti è Sandra Milo. Icona del cinema italiano, da Lo scapolo con Alberto Sordi fino a Giulietta degli spiriti e 8 ½ di Federico Fellini che si aggiudicò l’Oscar come miglior film straniero» (Moreno Amantini, il Giornale, 16/6/2018). «Nell’Italia del boom c’era la Lollo, c’era Sophia Loren e in mezzo arrivai io: la Sandrocchia». «Una vita da romanzo nella quale si sommano così tanti aneddoti, amori, successi, stravaganze, incoerenze, episodi iconici sin dalla sua nascita che appena si cerca di tessere una trama e un ordito c’è qualche filo che scappa fuori dal telaio» (Debora Attanasio, Marie Claire, 11/3/2019). Racconta di essere stata amante di Federico Fellini e di Bettino Craxi, di aver beneficiato di un miracolo divino, di essersi sposata a Cuba con un colonnello dell’esercito di Fidel Castro, di aver attraversato la striscia di Gaza in taxi in compagnia di un agente del Mossad. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione. Tra i suoi film: Eliana e gli uomini (Jean Renoir, 1956); Totò nella luna (Steno, 1958); Il generale della Rovere (1959, Roberto Rossellini); Adua e le compagne (Antonio Pietrangeli, 1960); Fantasmi a Roma (Antonio Pietrangeli, 1960); 8 ½ (Federico Fellini, 1963, Nastro d’argento per la migliore attrice non protagonista); Giulietta degli spiriti (Federico Fellini, 1965, Nastro d’argento per la migliore attrice non protagonista); L’ombrellone (Dino Risi, 1965); Il cuore altrove (Pupi Avati, 2003); La perfezionista (Cesare Lanza, 2007); Happy Family (Gabriele Salvatores, 2010); A casa tutti bene (Gabriele Muccino, 2018). Molto attiva anche in tv (Studio Uno, Mixer, Piccoli fans) è nella storia per la puntata de L’amore è una cosa meravigliosa andata in onda l’8 gennaio 1990 in cui una telefonata anonima le comunicò la falsa notizia di un incidente al figlio Ciro. Si rivelò poi una montatura, studiata per finire sui giornali. In ogni caso, la Milo che ferma la trasmissione e con la sua vocetta di naso grida «Ciro, Ciro» è diventata un cult di YouTube. Nel 2007 confessò, sempre in tv, a Buona Domenica, di aver aiutato la madre a morire. «Continua a recitare: “Anche due spettacoli nello stesso periodo. Ho una gran memoria e gli impresari si sorprendono ‘ma allora è brava’. Ho smesso di offendermi. Forse il mio destino è questo. Stupire ad ogni costo”» (Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 27/9/2015). Titoli di testa «Le sue amiche la chiamano Sandra o Elena? “Sandra, perché è il nome che ho scelto: ‘San’ è dolce e ‘dra’ è dura e inarrestabile, come me”. Ha scelto lei anche Milo? “Quello me lo mise un giornalista dopo un servizio fotografico a Tivoli, in cui ero ricoperta soltanto di poche foglie. Ancora non c’era la televisione. Titolarono: la Milo di Tivoli”» (Elvira Serra, Corriere della Sera, 26/2/2018). Vita Figlia di coloni italiani in Tunisia, mamma toscana, papà siciliano. «Mio padre era nato a Tunisi, come me, ma mio nonno era di Ragusa, e per tradizione i primogeniti dovevano chiamarsi Salvatore o Salvatrice. Io non lo volevo perché credo che i nomi abbiano un’influenza sulle persone» (alla Serra). Resta in Africa solo nei suoi primi tre anni. Nel 1936 il padre riporta la famiglia a Viareggio, poi parte per l’Abissinia e fa perdere le sue tracce. «Continua a recitare: “Anche due spettacoli nello stesso periodo. Ho una gran memoria e gli impresari si sorprendono ‘ma allora è brava’. Ho smesso di offendermi. Forse il mio destino è questo. Stupire ad ogni costo”» (Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 27/9/2015). Titoli di testa «Le sue amiche la chiamano Sandra o Elena? “Sandra, perché è il nome che ho scelto: ‘San’ è dolce e ‘dra’ è dura e inarrestabile, come me”. Ha scelto lei anche Milo? “Quello me lo mise un giornalista dopo un servizio fotografico a Tivoli, in cui ero ricoperta soltanto di poche foglie. Ancora non c’era la televisione. Titolarono: la Milo di Tivoli”» (Elvira Serra, Corriere della Sera, 26/2/2018). Vita Figlia di coloni italiani in Tunisia, mamma toscana, papà siciliano. «Mio padre era nato a Tunisi, come me, ma mio nonno era di Ragusa, e per tradizione i primogeniti dovevano chiamarsi Salvatore o Salvatrice. Io non lo volevo perché credo che i nomi abbiano un’influenza sulle persone» (alla Serra). Resta in Africa solo nei suoi primi tre anni. Nel 1936 il padre riporta la famiglia a Viareggio, poi parte per l’Abissinia e fa perdere le sue tracce. Riappare solo dopo il 1945. «Sandra era già un’adolescente. “Un giorno, al paese, incontro un uomo per strada che mi chiede dov’è casa Greco. Era mio padre, non l’avevo riconosciuto. Ma è rimasto pochi giorni, è ripartito e non l’ho visto più”. Non ne ha saputo mai niente» (Rita Pinci, Chi, 29 /4/2009). «Alla fine della seconda guerra mondiale aveva dodici anni, era una delle tante ragazzine cresciute in fretta tra bombe, fame, padri in guerra e madri e nonne a guidare la famiglia» (La Stampa, 24/2/2020). «A dodici anni ho letto Marx, Engels, Proudhon, Lenin perché volevo capire quale fosse l’atteggiamento giusto da tenere verso gli altri e mi sembrava che l’idea socialista fosse fantastica. È stato un grande sogno, ha illuminato la mia adolescenza» (alla Stampa, 24/2/2020). «Sono socialista da quando avevo dodici anni, volevo capire perché nella mia famiglia erano tutti fascisti» (a Silvia Fumarola, la Repubblica, 4/3/2013) • «Già bella, sa giocare con la seduzione» (Pinci). «Si considera, per così dire, una seduttrice naturale? “Credo di sì. Anche a scuola quando suonava la campanella i ragazzini si precipitavano in corridoio per mettermi il cappotto sulle spalle, mi arrivavano richieste di matrimonio» (Fumarola). Accetta quella di un nobiluomo, tale Cesare Rodighiero. È il 1948, ha solo quindici anni: «Indossavo un vestitino celeste con un golfino in tinta, niente abito bianco perché suo nonno era moribondo». È incinta: «Quel bambino non lo volevo, avevo paura di mio marito, si era rivelato violento, una volta mi sparò contro. Ma mia madre voleva che tornassi da lui dopo il parto. Invece ebbi un aborto spontaneo» (Serra). Il matrimonio dura solo 21 giorni • Lasciato il marito, se ne va a Milano e trova lavoro come fotomodella. Comincia a usare il nome d’arte di Sandra Milo. Lavora anche con la stilista Germana Maruccelli ma non è soddisfatta: «Le foto non parlano, io mi sentivo una donna a metà». «Riprende il treno e arriva a Roma, dove, nel 1954, incontra il produttore cinematografico greco Moris. «A Cinecittà ero arrivata per affermarmi. Volevo farcela e per riuscire nell’intento mi mimetizzai. Alle mie colleghe sembravo leggera, vacua, inoffensiva. Ero pericolosa invece, ma se ne resero conto quando era troppo tardi» (a Pagani) • «Erano anni in cui il cinema era qualcosa di speciale, faceva sognare». «Compresi in fretta dov’ero e perseguii il successo in maniera morbida, insinuante, sottile, senza fretta né ansie apparenti» (a Pagani). «Il suo primo film? “Mi piacerebbe dire La Risaia di Raffaello Matarazzo: ero stata scelta per fare l’antagonista di Elsa Martinelli, il produttore Carlo Ponti mi aveva proposto un contratto di sette anni. Ma il mio compagno, Moris Ergas, gli disse che soffrivo di reumatismi e non potevo trasferirmi a Vercelli per girarlo. Non era vero”. Ergas. “Lui mi piaceva moltissimo, ma lui era stato appena lasciato da Silvana Pampanini e con la testa stava ancora là. Riuscii a farlo innamorare di me e, nel 1963, nacque Deborah”. Fu lui a lanciarla nel firmamento del cinema» (Pinci). «A Cinecittà ero arrivata per affermarmi. Volevo farcela e per riuscire nell’intento mi mimetizzai. Alle mie colleghe sembravo leggera, vacua, inoffensiva. Ero pericolosa invece, ma se ne resero conto quando era troppo tardi» (a Pagani) • «Erano anni in cui il cinema era qualcosa di speciale, faceva sognare». «Compresi in fretta dov’ero e perseguii il successo in maniera morbida, insinuante, sottile, senza fretta né ansie apparenti» (a Pagani). «Il suo primo film? “Mi piacerebbe dire La Risaia di Raffaello Matarazzo: ero stata scelta per fare l’antagonista di Elsa Martinelli, il produttore Carlo Ponti mi aveva proposto un contratto di sette anni. Ma il mio compagno, Moris Ergas, gli disse che soffrivo di reumatismi e non potevo trasferirmi a Vercelli per girarlo. Non era vero”. Quale fu il primo, allora? “Lo Scapolo, con Alberto Sordi, nel 1955. Avevo abitudini milanesi, dove avevo lavorato come modella, a cominciare dalla puntualità. Quando arrivavo sul set mi prendevano in giro: ‘Ah eccola, l’Eleonora Duse…’. Sa quel sarcasmo tipico romano, bonario eh… Aiuto regista era Franco Zeffirelli, che era molto carino con me, mi diceva di non preoccuparmi”» (Serra). «Lei che voto si dà come attrice? “Dieci +”». «La finta ingenuità era come un mio secondo abito: ero l’oca giuliva, la bella che doveva rimanere muta, l’appariscente bionda che non capiva niente, l’ornamento di un cinema italiano che, salvo rare eccezioni, è sempre stato un feudo maschile». «Erano il mio fisico e la mia voce, a spingermi verso quel tipo di personaggio» (Scotti). «In quegli anni per le donne non era consigliabile mostrarsi troppo intelligenti. Gli uomini preferivano bellezze che non danno pensiero. Forse è ancora così» (Scotti). «È stata quasi sempre doppiata. Le dispiace? “Tutti trovavano la mia voce orrenda. Dicevano: ‘Non è possibile quella voce con quel fisico’. Poi però fu proprio Antonio Pietrangeli, lo stesso dello Scapolo, a non volermi doppiata in Adua e le compagne”» (Serra). «Ma è vero che sul set aveva remore a baciare i suoi partner artistici? “Il bacio, per me, è la forma di condivisione più intima. Il bacio è l’incontro di due corpi, ma anche di due anime […]” Strano discorso per un’attrice, che dovrebbe essere abituata a “sopportare” scene ben più impegnative. “Lo so. Ma dinanzi ai baci mi bloccavo. In un film un grande attore ci rimase male”. Nome del grande attore? “Ugo Tognazzi”. Titolo del film? “Totò nella Luna. Il regista era Steno. Gli dissi: ‘Io questo bacio non lo do’. Allora intervenne, stizzito, Tognazzi”. Dicendo? “Guardi, signorina, che io i denti me li lavo col dentifricio”».