Chi ha vissuto anche solo negli anni Ottanta, sebbene si respirasse già nell’aria la decomposizione della Guerra fredda, ricorda bene il dizionario aggressivo sulla rottura dell’atomo a cui si era quotidianamente sottoposti: si subiva una sorta di pedagogia del pericolo.
Volenti o nolenti si era esposti alla didascalica differenza tra bombe atomiche strategiche e tattiche (quelle a breve gittata che, con una casualità chirurgica, richiama spesso Vladimir Putin) e ai dettagli tecnici del Tnp, il trattato di non proliferazione nucleare.
E poco prima lo stesso allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, in una delle sue picconate, aveva rivelato la presenza anche in Italia, nelle basi Nato, di testate atomiche tattiche. Insomma la bomba atomica con la sua ombra faceva parte del patrimonio semantico della società italiana.
La disgregazione del collante dell’Urss lasciò una pericolosa coltura di testate nucleari sul terreno di molte repubbliche ex sovietiche dove lo stato di crisi avrebbe potuto causare una fuga non tracciata verso gli Stati canaglia di materiali e tecnologie nucleari.
L’Ucraina ne fu l’ombelico: nel 1991 risultava il terzo Paese per testate nucleari, dopo Russia e Stati Uniti. Accettò l’aiuto nel disarmo in cambio del sostegno economico da parte degli Usa.
Oggi il Tnp non è il documento più importante. Il complesso equilibrio geopolitico fa perno su diversi accordi, tra cui quello sul divieto (parziale) di test atomici e quello sulle aree de-nuclearizzate. A questo vanno sommati gli accordi bilaterali, come appunto il New Start (evoluzione dello Start), firmato a Praga nel 2010 da Barack Obama, allora presidente Usa, e quello della Federazione Russa, Dimitrij Medvedev.
È questo il trattato richiamato sempre minacciosamente un anno fa da Putin. Ma il leader russo, interessato all’escalation e alla retorica bellica, non è la sola fonte: «La prospettiva di un conflitto nucleare, una volta impensabile, è ora tornata nel ventaglio delle possibilità».
A dirlo non era stato un dittatore, un falco o un guerrafondaio ma António Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite fin dallo scorso 14 marzo 2022. L’accordo oltre ad essere bilaterale si concentra sulle testate strategiche, dunque a lungo raggio (missili a lunga gittata, testate dei sommergibili e testate trasportabili con i bombardieri).
Ma quante sono? La stima per la Russia è di 2.668 (2.126 negli Usa). Il termine stima è d’obbligo sia perché la Russia non è del tutto trasparente sugli argomenti che riguardano la Difesa, sia perché in realtà non si conosce bene lo stato di «salute» di questi armamenti. Per anni il governo americano è stato lo spazzino atomico del mondo. La maggior parte degli investimenti americani servono per bonificare il mondo dalle scorie radioattive, Usa compresi.
In un documento presentato al congresso nel mese di marzo 2022 si legge per esempio che «la richiesta per l’esercizio 2023 include 7,6 miliardi di dollari per ripulire milioni di tonnellate di combustibile nucleare esaurito (usato) e materiali nucleari, smaltimento di grandi volumi di rifiuti transuranici e misti/di bassa attività, enormi quantità di rifiuti contaminanti suolo e acqua, e la disattivazione di migliaia di strutture in eccesso».
Fino all’annessione della Crimea da parte della Russia il Congresso Usa ha autorizzato spese a vantaggio di Mosca per la gestione degli armamentari nucleari. Ma già nel 2012 Obama aveva chiesto al Congresso 10 miliardi di dollari in più per «accrescere il sistema difensivo atomico». Evidentemente l’intelligence Usa aveva già notato qualche mossa non convincente della Russia.
Gli Stati Uniti spendono per il nucleare militare l’incredibile cifra di 35,4 miliardi di dollari l’anno, 67.352 dollari al minuto. Si tratta di circa il 5 per cento della spesa totale dell’amministrazione americana per la Difesa. Eppure gli Usa hanno meno armi della Russia: Mosca ne ha in totale 6.370 (e spende all’anno 8,5 miliardi).
Per inciso tra le testate Usa circa un centinaio sono dislocate in cinque Paesi europei della Nato: principalmente in Germania, ma anche in Italia nelle due basi aeree di Aviano e di Ghedi (la stima è di 40 B61, una famiglia di missili atomici che vanno dai più leggeri che possono essere armati sui veloci caccia americani F15 ed F16, ai più pesanti per i bombardieri B2).