Pavel Durov resta nei locali dell’Ufficio Nazionale francese antifrode, alla periferia di Parigi. Il fermo è stato prorogato. Entro le 20 di domani sera il giudice istruttore dovrà decidere se rilasciare il Ceo di Telegram, oppure iscriverlo al registro degli indagati o incolparlo direttamente, e quindi confermare o meno la detenzione provvisoria.
Si evoca un mandato di ricerca emesso in Francia per complicità delle attività delittuose – dal terrorismo al traffico di droga alla pedocriminalità – che si svolgono sulla sua piattaforma, ma nessuno ha confermato se è stato presentato davanti al giudice a titolo individuale o in quanto Ceo di Telegram.
Almeno ufficialmente, Durov evita da anni di viaggiare in Europa, sapeva che in Francia (di cui ha il passaporto) esiste un mandato di ricerca col suo nome, con ipotesi di reato legate alla mancanza di cooperazione con le autorità in merito alle attività delittuose che prosperano sulla sua app. Cosa lo ha spinto dunque a fare scalo a Parigi sabato sera? Un atto di disinvoltura da parte di qualcuno che si ritiene al di sopra delle leggi? O la decisione di consegnare se stesso e le preziose informazioni che detiene alle autorità politiche che ha sempre accuratamente evitato?
Il fatto è che anche se tutti criticano Telegram, tutti lo usano, governi compresi. Ha sorpreso la reazione immediata di Mosca, che in passato ha cercato invano di addomesticare Durov, in esilio dal 2014. Le autorità russe hanno immediatamente denunciato l’accanimento dei francesi facendo di Durov un paladino della libertà di espressione. C’è chi ritiene che il Cremlino abbia molto da perdere in un eventuale breakdown di Telegram, ampiamente usato per le comunicazioni militari nella guerra in Ucraina.
Altri fanno notare che negli ultimi anni le relazioni tra Putin e Durov potrebbero essere diventate più cordiali. Per alcuni esperti digitali, i russi avrebbero ormai a disposizione una “backdoor” per sorvegliare gli oppositori del regime. I media russi si preoccupavano ieri di un «Telegram in procinto di finire nelle mani della Nato».
Ma la app è anche cruciale per gli ucraini, Zelensky la usa regolarmente per comunicare con i suoi ministri. In realtà, nessuno è in grado dire se e cosa Telegram condivida con i governi e a quali condizioni. Ieri Emmanuel Macron ha assicurato che il fermo di Durov «non è in nessun modo una decisione politica», che «si svolge nel quadro di un’inchiesta giudiziaria in corso».
Guerra di posizione anche dal Cremlino. Ieri il portavoce Dmitry Peskov ha smentito, come riportato da alcune fonti, che Durov abbia incontrato Putin a Baku, in Azerbaijan, dove entrambi si trovavano nei giorni scorsi.