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Il Donbass è più importante di Kursk?

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«Ne mychit, ne telitsya». Non è la più fine delle espressioni russe. Non muggisce e non partorisce. Ma che lo […]

«Ne mychit, ne telitsya». Non è la più fine delle espressioni russe. Non muggisce e non partorisce. Ma che lo dica Vladimir Solovyov, il campione dei propagandisti russi richiamato dalle ferie in fretta e furia per dettare un verbo che evidentemente ancora non è stato comunicato, fa una certa impressione.

Non tanto perché in maniera senz’altro involontaria paragona il Cremlino a una mucca, che tarda e non fa quello che da lei ci si aspetta. Quanto piuttosto perché se le parole dei megafoni televisivi del potere russo vanno quasi sempre prese come l’unità di misura delle intenzioni di Vladimir Putin, allora è chiaro che la calma piatta imposta dal presidente comincia a creare sconcerto in una opinione pubblica imbevuta di nazionalismo, che ha bisogno di risposte immediate a quella che viene sempre più definita come «l’invasione ucraina».

Questa sfasatura è apparsa chiara fin da subito. Erano passati appena due giorni dall’attacco nella regione di Kursk, e il super allineato quotidiano Moskovskij Komsomolets affidava un commento allarmato al suo editorialista Mikhail Rostovskij, considerato un tramite diretto con il pensiero di Putin, nel quale si sostenevano le ragioni degli Z-bloggers, i giornalisti patriottici al seguito dell’Armata russa, che hanno subito sostenuto come la situazione fosse grave. Titolo: «Putin è stato cacciato in un tranello pericolosissimo».

Svolgimento: «Non dobbiamo mai sottovalutare il nemico specie se si presenta come un cigno morente, che ora si è rivelato un uccello rapace». Nell’articolo si invitava lo Stato russo a una reazione immediata «che può essere, deve essere e sarà riassunta in tre parole: soppressione, distruzione, disfatta del nemico».

Non è successo niente di tutto questo. E il paragone con il vuoto d’aria seguito alla marcia su Mosca di Evgenij Prigozhin ormai non regge più. Allora, fu questione di un giorno. Adesso, Putin continua ad avere un atteggiamento imperturbabile pur avendo da quasi due settimane il nemico nel proprio territorio.

L’ipotesi più benevola che circola in questi giorni a Mosca è che lo faccia per non allarmare ulteriormente un popolo già stanco del conflitto, del quale subisce anche gli effetti negativi economici, diventati più evidenti negli ultimi mesi, anche nella capitale.

Una settimana fa, il centro demoscopico Fom, insospettabile in quanto perfettamente allineato al Cremlino, ha rilevato lo scontento del 25 per cento dei russi per gli atti delle autorità. È la percentuale più alta mai registrata dal tentativo di rivolta da parte di Prigozhin. In una settimana questo indice è salito di 7 punti. Un dato rimane granitico: il livello di fiducia dei russi nel loro leader, che nella settimana dal 4 all’undici è addirittura cresciuto dal 78 all’80%.

L’immobilismo di questi giorni segna una novità, della quale stanno prendendo atto anche i falchi più estremisti. «Stiamo parlando di truppe regolari di un altro Paese, entrate in una nostra regione. Sarebbe inopportuno dire che li sbatteremo subito fuori. La verità è che dobbiamo tutti adottare uno sguardo più sobrio verso la situazione attuale».

Queste sarebbero anche parole di buon senso. Non fosse che sono state pronunciate dal deputato Andrei Gurulyov, membro della Commissione Difesa, che soltanto un mese fa suggeriva di attaccare con armi nucleari l’Olanda per danneggiare i rifornimenti di energia all’intera Europa.

Abbas Gallyamov, autore dei discorsi di Putin durante i suoi due primi mandati, è convinto che il Cremlino abbia seri problemi con la visione da proporre alla sua gente. «I russi non credono più che lui possa assicurare un domani sereno. A tenerli insieme è piuttosto la paura della transizione in un futuro post putiniano che potrebbe sfociare in repressioni di massa. La maggior parte del patriottismo che vediamo in giro è uno show organizzato da attori professionisti salariati.

Putin non vuole togliere le truppe dal Donbass e salvare la regione di Kursk, anche se per il patriota russo non c’è nulla di più importante della difesa della terra natia. Ma lui vive in un suo mondo fantasioso in cui il Donbass è più importante di Kursk».

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