CARTOMANZIA GRATIS NEWSLa schiuma bianca degli estintori delimita una perfetta sagoma rettangolare. Gli autoarticolati e i tir che arrivano dalla zona industriale di Marghera ci passano accanto, stando bene attenti a non invadere con le ruote quel perimetro d’asfalto divenuto la scena di un crimine da ventuno morti. Esistono tragedie dove tutto quel che è potuto andare male, lo ha fatto. Guardando dalla via Pila che in basso scorre parallela al Cavalcavia superiore di Marghera, questo il nome ufficiale dell’infrastruttura dalla quale è precipitato il bus elettrico, colpisce quella figura geometrica dai contorni così netti. Il corpo del reato invece è custodito in un deposito dismesso poco distante. Aveva una altezza dichiarata al Pubblico registro automobilistico di tre metri. Adesso misura un metro e quaranta. Sotto alle ruote esposte all’aria, un ammasso di lamiere contorte alle quali è impossibile dare nome e forma.
Il bus è caduto di piatto, sul proprio tetto. Da una altezza misurata di 9,40 metri. Ci vorranno settimane per stabilire la causa di ogni decesso. Ma quasi tutti i corpi presentano segni evidenti di schiacciamento. Il peso del mezzo sul quale stavano tornando in campeggio dopo una giornata di vacanza a Venezia si è completamente riversato su di loro, agendo come una pressa. È un dettaglio macabro, del quale ci scusiamo. Ma purtroppo è anche utile per capire un bilancio di vite umane perdute che nonostante tutto appare spropositato. «Se l’impatto con il terreno fosse avvenuto su una fiancata, non ci sarebbero stati così tante vittime e feriti gravi» dice uno dei Vigili del fuoco che ha coordinato i primi aiuti.
Ma come è potuto succedere, cosa è davvero accaduto. Le ineludibili domande sono queste, quando accade una sciagura del genere, su una strada sempre trafficata che tutti abbiamo percorso almeno una volta nella vita. Perché gli 830 metri di quel cavalcavia sono la porta d’ingresso a Venezia, il lembo d’asfalto che collega l’isola dei turisti alla terraferma di Mestre e Marghera, dove ogni cosa ricorda un Novecento industriale che non tornerà più. Qualche parziale risposta è possibile camminando lungo i cinquanta metri di cavalcavia immortalati nei video delle telecamere di sorveglianza. Il bus della società Linea spa, modello E-12 della cinese Yutong, emerge dalla salita iniziale. Fino a quel momento nessuna deviazione improvvisa, nessun scarto. Nessuna avvisaglia di quel che da lì a poco avverrà.
Alla guida c’è Alberto Rizzotto, quarant’anni, figlio di Maria Adele Roma, catechista e maestra elementare, e di Luigi, generale dell’aeronautica in pensione. Fa questo mestiere dal 2011, e gli piace. Agli amici che gli chiedevano perché non chiedeva l’assunzione nel settore pubblico, rispondeva che preferiva lavorare con i turisti, che danno meno grattacapi. Alle 19.48 il bus compie una manovra strana, abbandonando la corsia sulla quale stava viaggiando e stringendo lentamente alla sua destra. Percorre una trentina di metri sfregando contro il guardrail arrugginito. Le tracce lasciate dall’attrito sono evidenti. La protezione sembra reggere. Solo che ne manca un pezzo. È un buco nella barriera di sicurezza che misura due metri, nel quale il pullman che continua a spingere verso destra, come se non rispondesse più ai comandi, o non ci fosse più nessuno al volante, si infila. Una volta li chiamavano punti di sfogo. I parapetti venivano costruiti così. Ce ne sono ancora tantissimi in giro.
A quel punto il bus è come se fosse su una rotaia, con le ruote esterne che ormai viaggiano sulla passatoia lambendo la ringhiera del cavalcavia e le altre sul ciglio esterno della strada. Percorre ancora una dozzina di metri schiacciando con la sua plancia un’altra porzione di guardrail e le putrelle che lo sostengono. Sembra quasi fermarsi, in bilico. Poi precipita sfondando la ringhiera, composta da tre tubi di ferro dalla sezione di tre centimetri ognuno. Ma in quel momento, il suo destino era già segnato. Perché quell’ultimo ostacolo non è certo concepito per fermare un veicolo di quella stazza. Impossibile capire oggi se il parapetto avrebbe continuato a reggere. Ma la deviazione causata da quel varco «spinge» il bus ancora più verso l’esterno, e lo priva del suo ultimo argine prima del vuoto. L’urto del pianale con le putrelle e il guardrail ne altera il già precario equilibrio, provocandone il ribaltamento durante la caduta, con le tremende conseguenze che ne sono poi derivate.
«Quelle barriere non sono a norma secondo le leggi vigenti, ma lo erano all’epoca in cui vennero progettate» dice Renato Boraso, assessore alla viabilità del Comune di Venezia, che ha ereditato dall’Anas la gestione di quel tratto di strada. I varchi sarebbero stati chiusi l’anno prossimo con i lavori strutturali già decisi e finanziati dal Pnrr. L’infrastruttura rientra infatti nelle opere considerate «vie strategiche di comunicazione ai fini della protezione civile». A Tezze di Vazzola, la villetta della famiglia Rizzotto ha le finestre sbarrate. L’errore umano, o il malore, o il colpo di sonno, sono il principio e non la fine di questa storia. Intanto, sul cavalcavia il traffico ha ricominciato a scorrere, come sempre.CONTINUA A LEGGERE SU CARTOMANZIA GRATIS