VASCO ROSSI IL SUPERVISSUTO

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CARTOMANZIA GRATIS NEWSBologna. Avvertenza per i lettori e le lettrici. Quella che vedete nella foto sotto non è casa Rossi. A casa sua e di sua moglie Laura Schmidt, a Bologna, Vasco non ci ha neanche voluto far avvicinare. Lì il lavoro (e questa intervista è lavoro) non entra. Alla fine con Vasco ci incontriamo per l’intervista in un caldissimo pomeriggio della settimana scorsa nel suo studio, sempre a Bologna, un ufficio essenziale che non si concede lussi inutili. Come è lui. Insieme a noi c’è tutto il gruppone di Netflix che ha curato la docuserie in cinque episodi che sarà disponibile in streaming dal 27 settembre. Si intitola Il supervissuto, sottotitolo Voglio una vita come la mia, ed è probabilmente l’opera più completa mai realizzata per raccontare la vita di un personaggio unico, in cui ancora oggi si riconoscono diverse generazioni di italiani. Peraltro è anche l’opera in cui, per la prima volta, parlano la moglie di Vasco e il loro figlio Luca.

Partiamo dall’inizio. Come è nato il tuo rapporto con Laura?
«La Laura la conosco dall’estate dell’86 quando Massimino Riva una sera arriva a casa mia a Riccione portando con sé queste tre ragazze molto carine ma completamente fuori di testa, con delle minigonne della madonna. Una di queste quando mi vede mi riconosce: “Ah ma tu sei Vasco Rossi, il cantante”. L’altra pure mi guarda un po’ imbambolata. La terza, che per me era la più carina, comincia ad insultarmi: “Ma chi ti credi di essere? Cosa me ne frega a me se sei un cantante…”. Quell’angioletto biondo era la Laura. Ai tempi aveva 17 anni. Ma forse è meglio dire 18».

E fu lì che nacque l’amore?
«Continuavo a pensarci. Sei mesi dopo dico a Massimo, che si era fidanzato con una delle tre, la Valeria: “Perché non inviti quella stronzetta amica sua?”».

Ti ha insultato di nuovo?
«No. Lì è scoccato l’amore, amore totale. E un’attrazione pazzesca a livello sessuale: aveva delle gambe fantastiche. E un culo fantastico – ma oggi mi sa che non si può più dire: ogni volta che si voltava per prendere il vino io restavo lì, allibito. Abitava ancora a Milano».

I suoi genitori, contenti?
«Felici! Una sera la porto a casa alle due di notte in taxi e vedo un signore che si avvicina. Pensavo volesse prendere il taxi e faccio per dirgli che serviva ancora a me, invece incazzatissimo mi fa: “Come ti permetti di portare a casa mia figlia a quest’ora? Non farti più vedere e non chiamarla mai più!”».

E tu?
«L’ho chiamata il giorno dopo. Diciamo che l’ho presa e l’ho portata via. Ti prendo e ti porto via, la canzone, è ispirata da lei, dalla Laura. Dopo poco è venuta a vivere con me qui a Bologna. Mi ricordo che doveva fare l’esame di maturità: aveva il tema. E io la sera prima l’ho portata a Parigi perché facevo un concerto per Sos Racisme».

Rapporto intenso?
«Intensissimo. Ci amavamo, litigavamo, ci menavamo. Ogni tanto facevamo a botte ma era lei che menava più forte. È così ancora oggi, quando la vedo mi mette subito allegria. Poi magari la vorrei strozzare. È come una gatta, di quelle che se ne stanno per conto loro, che se provi a fargli qualcosa, anche di carino, ti tirano fuori gli artigli. Nell’87 l’ho portata con me in tour. Mi ha fatto diventare matto, alla fine le ho dovuto dire che non la volevo lì con me. Ero lì per lavorare, mica in vacanza. Non volevo una Yoko Ono che influenzasse la mia avventura artistica».

E come si è risolto il problema?
«Che lei si è cercata la sua strada: si è iscritta a Scienze politiche, poi faceva la ragazza immagine alle fiere. Finché un giorno la chiamo: “Ma dove sei?”. E lei: “Sssh, devo parlare piano che sono qui in un appostamento”. Era andata da Tom Ponzi e si era messa a fare l’investigatrice privata! L’ho convinta a mollare e allora a quel punto ha deciso che voleva fare la ballerina. E lì ho avuto un’idea: le ho detto che il contratto glielo avrei fatto io, regolare, con stipendio. Poi a poco a poco le cose sono cambiate perché abbiamo deciso di fare un’altra scommessa».

Cioè?
«La cosa più spericolata e trasgressiva per due come noi: quella di mettere su famiglia. Lei voleva un figlio e a quel punto anch’io perché ero stanco di vivere in uno Stupido hotel, come dico in una canzone – le mie canzoni raccontano tutto, anche se magari poi uno ci può vedere dentro quello che vuole: da allora si può dire che tutte le canzoni che ho fatto sono state ispirate dalla Laura.Tranne una».

Ah sì? Quale?
«Laura, quella che dice “Laura aspetta un figlio per Natale/ Laura aspetta un figlio per errore”».

Com’è che alla fine vi siete sposati, ormai più di dieci anni fa?
«Abbiamo fatto un patto di sangue, lo dico scherzando ma è una cosa seria. Quando ero ammalato, abbiamo deciso di sposarci per garantirci un futuro senza problemi burocratici. Non volevamo che il matrimonio fosse il contrario della libertà, dell’essersi scelti. Del resto io non l’ho mai tradita».

Dici davvero?
«Mai. Con la testa mai: secondo me il tradimento è solo quello. Da quando l’ho conosciuta ho amato solo lei. Ci rispettiamo. Non ci controlliamo. Non vado a guardare nella sua borsa. Non vogliamo giocare a poker perché quando poi uno vuole andare a vedere, si sa, può anche perdere. Insieme abbiamo costruito un progetto e insieme lo difendiamo. Anche da noi stessi».

Sei un “supervissuto”, come dice il titolo della serie. Ma in che senso?
«Ho avuto dei momenti di crisi tremendi. Non che io oggi voglia morire, però sinceramente ho già vissuto parecchio per i miei gusti e per quello che pensavo. Anche adesso ogni giorno che viene è un giorno in più rispetto a quello che immaginavo. Non pensavo di arrivare a 60 anni, adesso addirittura 70. Ormai potrei andare che son già molto contento (ride): dovesse succedere fate una bella festa, tutti, perché ho fatto una vita della madonna, ho vinto tutte le sfide, ho frequentato tutti i limiti che volevo frequentare. Mi piace frequentare i limiti delle cose».

Dici che la cosa più difficile è stato smettere con le anfetamine.
«Ho dormito per quasi sei mesi, ho passato tutto l’inverno a letto a Zocca, guardando la tv. Mi sono disintossicato, da solo, in casa, ma la dipendenza psicologica è durata anni. Però ci tengo a dire una cosa: io l’eroina non l’ho mai toccata. E infatti sono ancora qua a raccontarlo. Non solo non l’ho mai toccata, ma ho sempre detto a tutti i miei amici di non farlo – perché non si può scherzare con quella cosa lì. Massimo (Riva, ndr) finché ha vissuto con me non ne ha mai fatto uso: quando se n’è andato per conto suo ha trovato una specie di corte dei miracoli, degli sfigati di turno. Lì ha iniziato e non ha più smesso. Ai miei figli queste cose gliele ho spiegate bene sempre. Il primo è stato Davide. Quando andavo a Roma e gli facevo il discorso sulle droghe, lui mi guardava e rideva. “Cazzo ridi?”. E lui: “Papà, tu sei Vasco Rossi!”. Ho dovuto combattere anche con l’immagine che aveva di me. Intanto non era vera, e poi proprio perché avendo fatto degli errori a maggior ragione potevo spiegargli meglio di chiunque altro come evitarli».

Oggi com’è una giornata tipo del signor Rossi?
«Mi sveglio la mattina alle 9, faccio colazione e poi due ore di palestra o allenamento. Mi piace la cyclette perché pedalo leggendo, magari certi libri che alla sera non capisco tanto, mentre al mattino si capisce tutto. Poi faccio stretching. E ora ho inserito anche venti minuti di meditazione. Ho letto questo Jon Kabat-Zinn, un suo libro che si intitola Riprendere i sensi, mi sembrava una roba da fricchettoni e poi invece quando ho cominciato a leggerlo mi ha veramente incuriosito perché i suoi erano consigli pratici. E così ho iniziato a fare questa meditazione basata sulla respirazione prima dei concerti. Anche se non la capivo, mi aiutava perché concentrandomi sul respiro non pensavo alla paura di salire sul palco. Non sono buddhista, ma questa cosa dello spegnersi del pensiero mi affascina. Un po’ l’avevo scritta in Buoni o cattivi: “Si può spegnere ogni tanto il pensiero/ smettere almeno di crederci per davvero”.

Niente vita mondana: tua moglie non si lamenta?
«Lei è un orso peggio di me. Anche a casa non entra nessuno, mica solo il Venerdì! Invito un paio di amici a cena: dopo il primo lei aveva preparato dei bastoncini Findus. E non avevano ancora finito di mangiare che era già di là a preparare il caffè. Li voleva mandare a casa! (ride). Perciò di solito gli unici che vengono ogni tanto sono i parenti».

Sembra che non ci sia un perché neppure in tante cose che succedono oggi in Italia o nel mondo no?
«Guardavo dei documentari su Mussolini e mi chiedevo: ma come facevano a credere a uno del genere? Però anche allora c’erano quelli che si rendevano conto che era un balordo. Ma erano pochi. Stessa cosa oggi. E, ti dico, non credevo di arrivare a vivere un’esperienza del genere. Non è fascismo quello di oggi, è il nuovo, è fascismo 2.0. Oggi sono tutti innamorati della Meloni, quasi lo sono anch’io (ride). Come diceva Gadda, ai tempi tutte le Vispe Terese erano innamorate di Mussolini. Insomma non impariamo mai».

Nei tuoi concerti a un certo punto inizi a gridare una cosa come “Fanculo la guerra”. Sei stato praticamente l’unico, insieme forse ai Maneskin. A proposito li hai poi incontrati? So che ti piacevano… Il New York Times ha scritto che stanno insegnando il rock agli americani che se lo erano dimenticato.
«È vero, ormai era quasi tutto rap. Loro sono bravi, belli, bella lei…».

Sui social si sono lamentati perché sotto una foto di Victoria hai scritto “Slurp”.
«Abbiamo appena fatto una maglietta con scritto “Slurp” (ride). L’ho anche messa all’ultimo concerto perché è troppo bella!».

Qualche vizio ce l’hai ancora allora.CONTINUA A LEGGERE SU CARTOMANZIA GRATIS

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