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C’èsubbuglio a Palazzo Chigi. I metodi aspri e assertivi di Giorgia Meloni tradiscono irrequietezza, nervosismo e anche una certa fragilità. La premier dà ordini ai funzionari della Presidenza del Consiglio neanche fossero camerieri. Atteggiamento poi subito imitato e portato avanti dall’inner circle della Meloni. Una attitudine sempre più da autocrate, che si riverbera sul rapporto che la premier ha con i giornalisti: li sopporta sempre meno, come ha dimostrato la giornata di Pompei, dove i cronisti furono relegati in un vagone ferroviario per non “disturbare” e poi tenuti sotto al sole per un’ora mentre Donna Giorgia e il ministro Sangiuliano facevano il giro degli scavi. Altra prova ieri: alla commemorazione a Paolo Borsellino, a Palermo, i cronisti sono stati tenuti lontani. La Meloni si è poi concessa qualche minuto (meno di dieci) per un punto stampa davanti alle telecamere.
La smania del controllo, che affligge Giorgia Meloni, viene favorita dalla sua padronanza delle lingue: quando sente di avere un problema, alza il telefono direttamente e chiama chiunque, in Italia e in Europa. Nessuna delega: ce pensa lei. Altro che Salvini col traduttore. Guidata dai consigli dei suoi due nuovi “consulenti”, che un lontano giorno appartenevano alla sinistra, Marco Minniti per la politica estera, e Luciano Violante per quella interna, la premier è già proiettata a ottobre, quando presenterà il famigerato e fantomatico “Piano mattei”. La Meloni pretende che il progetto venga accettato e condiviso dall’Unione europea (che non lo farà mai), prima di essere poi discusso con i Paesi africani interessati (Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto). La pretesa della Sora Giorgia è che alla guida di questo ambizioso. piano ci sia lei, come “nuova Merkel” (copyright Minniti).
Come fa la reginetta della Garbatella a pensare di farsi incoronare “Nostra signora del Mediterraneo” da Bruxelles è un mistero gaudioso: che chance ha una che supporta il partito franchista spagnolo di Vox ed è alleata con il filo-putiniano Orban? Una che spara minacce da mesi per la firma sul Mes e sul Pnrr ha scassato la pazienza di tutti? Anche perché lo stesso memorandum con la Tunisia, fortemente sponsorizzato dalla Meloni, è ancora tutto da applicare. Le è servito soprattutto a spuntare le unghie a Salvini, che sul tema migranti ha costruito le sue più brillanti fortune. Le ambizioni della Meloni di diventare pivot dell’Ue nel continente nero passano anche per altri dossier: il Pnrr, in primis. I ritardi si accumulano, i soldi non arrivano e il piano langue. il ministro Fitto ha preso altro tempo, rinviando di “due o tre mesi” la decisione sulla revisione dei progetti italiani, saltando a piè pari la scadenza fissata da Bruxelles al 31 agosto. A rendere il percorso più accidentato c’è il passo indietro di Paolo Gentiloni. Il commissario europeo all’Economia ha dato una mano all’Italia sul Piano di ripresa e resilienza ma poi si è defilato dopo il 28 giugno quando, al Senato, la Meloni lo strigliò: “Gentiloni, che il piano immagino lo avesse letto prima, chiama in causa il governo italiano dicendo che bisogna correre e fare di più, ma insomma, se si fosse vigilato un po’ di più in passato, probabilmente oggi si farebbe più velocemente”. Inoltre, a capo della task force sul Pnrr, è stato chiamato Carlo Alberto Manfredi Selvaggi, magistrato contabile dal 1997 e presidente di sezione della Corte dei Conti dal 2021. La toga pur avendo ottenuto un compito così gravoso, guidare una struttura cruciale per il Paese, non ha lasciato l’incarico precedente alla Corte dei Conti. Un doppio impegno che rischia di sperperare tempo ed energie rispetto a un compito così gravoso.
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