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Neigiorni estivi di caldo torrido e afa asfissiante il desiderio di tutti è avere una casa fresca e vivibile. Un desiderio che è possibile esaudire con gli ormai onnipresenti climatizzatori ma a caro prezzo, sia per le nostre tasche, sia per l’ambiente. Sembriamo, dunque, destinati a restare intrappolati in un circolo vizioso il cui unico risultato è quello di accelerare ulteriormente il problema del riscaldamento globale. Occorre dunque trovare un modo per interrompere questo ciclo senza pesare ulteriormente sull’ambiente e sulle tasche. Dal punto di vista tecnico una possibile (e auspicabile) soluzione potrebbe risiedere nel raffreddamento passivo, un tipo di raffreddamento che non richiede l’utilizzo di energia per svolgere la sua azione.
È esattamente quello che un gruppo di ricercatori del Mit di Boston ha sperimentato con successo: una tecnologia che assorbe il calore dall’ambiente e lo trasferisce lontano dal sistema che si vuole raffreddare, senza necessità di alimentazione esterna, ma sfruttando solo alcuni principi o fenomeni fisici come l’isolamento, l’evaporazione e l’emissione di radiazioni. Per quanto possa sembrare attraente e risolutiva, la tecnologia del raffreddamento passivo ha ancora molta strada da fare prima di poter essere implementata nel mondo reale e su scala commerciale. È un percorso dove non mancano gli ostacoli tecnologici da superare, a cominciare dalle limitate prestazioni di raffreddamento delle soluzioni esistenti che, giusto per fare qualche esempio, tendono ancora a utilizzare grandi quantità di acqua e sono molto influenzate dalle condizioni ambientali come il calore o l’umidità.
Da questo punto di vista una strada molto promettente sembra, invece, quella imboccata dai ricercatori del Mit che hanno creato un sistema costituito da un pannello piatto composto da tre strati che combinano diverse tecniche di raffreddamento passivo, ognuna delle quali contrasta le carenze delle altre. Lo strato più esterno del pannello è fatto da un materiale ultraleggero, un aerogel altamente isolante con struttura simile a quella di una spugna. In pratica è un reticolo di polimeri dove, però, la maggior parte del volume è occupata dall’aria. Questa struttura rende gli aerogel altamente isolanti rispetto al calore ma consente ai gas e ad altri tipi di radiazioni di passare facilmente. Sotto l’aerogel e isolato da esso c’è il secondo strato costituito da un idrogel: un materiale caratterizzato da una rete simile di polimeri insolubili però, questa volta, immersi in acqua. Quando l’energia termica che attraversa lo strato superiore viene a contatto con l’acqua, questa in parte evapora salendo attraverso l’aerogel. Inoltre, l’idrogel converte parte del calore assorbito in radiazione infrarossa che viene rilasciata nello spazio esterno passando attraverso l’aerogel. Nell’ultimo strato, quello sotto l’idrogel, i ricercatori hanno posto un materiale riflettente simile a uno specchio, che ha il compito di riflettere la parte di calore che riesce a passare attraverso i due strati superiori assicurando, così, che la maggior parte possibile venga assorbita e dissipata dall’idrogel.
Le prestazioni sono state testate direttamente sul tetto del campus del MIT, dove i ricercatori hanno posizionato un pannello realizzato con la loro tecnologia, mettendolo a confronto con un sistema di raffreddamento radiativo allo stato dell’arte già esistente. Alla fine il risultato non ha lasciato dubbi perché il pannello sperimentale si è comportato circa tre volte meglio di quello al top della tecnologia esistente, riuscendo a raffreddare lo spazio sottostante fino a 9,3°C al di sotto della temperatura ambiente, anche alla luce diretta del Sole e durante i mesi estivi. Ora, per passare dal laboratorio alla realtà, occorrerà affrontare molte sfide e migliorare questa tecnologia, ad esempio utilizzando materiali polimerici completamente nuovi per produrre l’aerogel. I ricercatori del Mit stimano che il loro sistema di raffreddamento passivo potrebbe estendere la durata della conservazione dei cibi anche del 40% nei climi umidi e addirittura fino al 200% nelle regioni aride.
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