MILLE PROIETTILI E 25 SICARI UNA PIOGGIA DI PIOMBO

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Mille proiettili e 25 sicari. Una pioggia di piombo che apre come una latta il furgone blindato. Hipólito Mora, 68 anni, coltivatore di limoni, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il suo turno. La morte lo inseguiva da dieci anni. Aveva fatto di tutto per evitarla, sopportando le continue minacce e sfuggendo per un soffio ad altri due agguati che i Cartelli gli avevano frapposto nella sua battaglia per la libertà.

Ma era ostinato, come lo sono i contadini messicani. Con la scomparsa di Mora il Messico perde l’ultimo punto di rifermento nella difesa allo strapotere dei narcos. La sua storia è simile a quella di tanti altri che hanno formato i Comitati per l’autodifesa. Una reazione spontanea della gente alle conseguenze della “guerra alla droga” proclamata dall’allora presidente Felipe Calderón: 100mila tra morti e scomparsi.

Solo l’arrivo del presidente Andrés Manuel López Obrador, che ha interrotto il dominio di 94 anni del Pri, ha cambiato l’approccio con i Cartelli in modo radicale. «Abbracci, non proiettili», fu lo slogan con cui si annunciò al Messico. Nessun accordo, niente corruzione. Soltanto pace.

I narcos sorrisero: senza il Chapo c’era da spartirsi il suo impero. E qui è nato lo scontro ancora in atto tra La Familia Michoacana, con i suoi alleati, e la Jalisco Nueva Generación. È al culmine di questo confronto senza limiti e orrori che matura l’omicidio di Hipólito Mora. Una vendetta postuma.

Stanco delle continue sopraffazioni, nel 2013 aveva deciso di creare con gli abitanti di Tierra Caliente del Michoacán, passaggio obbligato del flusso di droga verso gli Usa, un gruppo di autodifesa che facesse ciò che lo Stato centrale non faceva. Il gruppo riuscì a placare la violenza; garantiva quella sicurezza che la popolazione, stremata da estorsioni e scontri a fuoco, invocava da tempo.

Quattro blindati lo hanno bloccato e 25 killer gli hanno sparato contro un muro di proiettili. Poi hanno appiccato il fuoco e bruciato il suo furgone. La cosa ha avuto una vasta eco a livello nazionale. È intervenuto il vescovo di Apatzingán, Cristóbal Ascencio García. E ha rimproverato il presidente Obrador, acclamato dai suoi sostenitori in vista delle elezioni del 2024: «Invece di festeggiare nello Zócalo, perché non ha proclamato un giorno di lutto nazionale?».
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