TAMARA PISNOLI LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA

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DARK LADY ALL’AMATRICIANA – QUELLA DI TAMARA PISNOLI È “UNA VITA IMPRONTATA ALL’USO DELLA VIOLENZA E DELLA MINACCIA”. È QUANTO SCRITTO NELLE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE, LO SCORSO 24 FEBBRAIO, HA CONDANNATO L’EX MOGLIE DI DANIELE DE ROSSI A SETTE ANNI E DUE MESI DI CARCERE PER TENTATA ESTORSIONE E RAPINA AGGRAVATA – I GIUDICI SPIEGANO CHE “IL BRUTALE PESTAGGIO” DI ANTONELLO IEFFI È AVVENUTO DAVANTI A LEI, “CHE È RIMASTA A GUARDARE E HA SOLO ADOTTANDO UNA SMORFIA DI DISGUSTO QUANDO HA VISTO IL SANGUE COLARE…

«Una vita improntata all’uso della violenza e della minaccia» e come «unica preoccupazione quella di non creare attriti con altri esponenti della criminalità locale». Questa la «personalità» di Tamara Pisnoli secondo i giudici Ilaria Amarù, Valerio De Gioia e Giovanna Rispoli, che lo scorso 24 febbraio hanno condannato la donna insieme a Francesco Camilletti e Francesco Milano alla pena di sette anni e due mesi di reclusione e 3.000 euro di multa ciascuno per tentata estorsione e rapina aggravata. La vicenda ha Antonello Ieffi come vittima e persona offesa nel processo. Nel capo di imputazione c’era anche il reato di lesioni personali aggravate estinto «per intervenuta prescrizione».

L’ex moglie di Daniele De Rossi, avrebbe preteso da Ieffi dei soldi prestati all’imprenditore come anticipo per una licenza di fotovoltaico. La ragione della recessione del contratto da parte della Pisnoli «era rappresentata dalla cessazione del rapporto sentimentale con Manuel Milano, fratello di Francesco, nei cui confronti covava un vivo risentimento». «Non c’è corrispondenza tra il credito vantato dalla Pisnoli (84 mila euro) e la somma oggetto dell’imposizione (150 mila euro, oltre interessi nella misura del 10-20% mensile)», si legge nelle motivazioni della sentenza. I giudici sottolineano come gli imputati abbiano «agito per ottenere un importo che non avrebbe potuto essere oggetto di una domanda giudiziale, considerato che nessun inadempimento era addebitabile a Ieffi e che nessuna facoltà di recesso risultava essere pattuita in favore della Pisnoli».

I soldi però non arrivano e la donna, assieme a Camilletti, Milano, Severa e Di Matteo, gli tendono una trappola portandolo il 17 luglio del 2013 a casa della Pisnoli. I quattro uomini iniziano il pestaggio. Prima di perdere conoscenza – come ha riferito Ieffi durante il processo – ha sentito Camilletti dire: «Ora ti insegno io a fare l’infame», e «ha visto – spiegano i giudici – un coltello a serramanico con il quale gli ha procurato una ferita alla testa così profonda che è stato necessario suturarla con numerosi punti». Dopo averlo pestato, riducendolo in fin di vita, e avergli rubato un Rolex e 900 euro in contanti, Severa (già condannato insieme a Di Matteo il 22 dicembre 2015, con sentenza divenuta definitiva) avrebbe dovuto portarlo in un luogo sicuro al Trullo, finché non avesse versato la somma richiesta ma, spaventato che potesse morire dissanguato in macchina, lo ha lasciato nei pressi di via Portuense. «Con un telefono che non erano riusciti a togliergli, in quanto accuratamente nascosto, Ieffi – come si legge nella sentenza – ha contattato la fidanzata dandole indicazioni per soccorrerlo»: «non so dove sono, sono a un incrocio, sono riuscito a scappare».

In merito alla rapina aggravata le motivazioni recitano: «La pretesa della restituzione delle somme non giustificava certamente l’appropriazione di altri oggetti di proprietà» di Ieffi (ossia l’orologio e la somma di denaro), in quanto la legge «non riconosce al creditore un’azione diretta all’apprensione di beni del debitore quale acconto o saldo del dovuto». Dalle motivazioni, è emerso che «il brutale pestaggio» è avvenuto proprio davanti a lei, «che è rimasta a guardare senza intervenire per interrompere l’azione violenta, o apparire sconvolta o impaurita, ma semplicemente adottando una smorfia di disgusto quando ha visto il sangue colare copiosamente» dalla testa di Ieffi.

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