RICORDI, SEGRETI E CATTIVERIE DI SOFIA GOGGIA: “DA RAGAZZINA SONO STATA SEMPRE BULLIZZATA, ANCHE PERCHÉ ERO UN PO’ TRASANDATA. MAI AVUTO UNA VITA SOCIALE” – NEL MONDO DELLO SCI NON HA AMICHE: “RARAMENTE MI AGGREGO ALLE INIZIATIVE DELLE ALTRE, CHE COMUNQUE NON MI INVITANO MAI” – SUL FLIRT CON MASSIMO GILETTI FA LA VAGA: “NON HO MAI SPERIMENTATO UN AMORE INCONDIZIONATO” – E POI I SUOI PIEDI “SOFFRO DI UN PRINCIPIO DI CONGELAMENTO ALL’ALLUCE SINISTRO…”..
«In preda a una costante deformazione professionale. Sono inscatolati negli scarponi da una vita. Da bambina erano sempre un filo più abbondanti e il piede si muoveva. Questi sfregamenti hanno creato le classiche palline da ping-pong che noi sciatori abbiamo sul calcagno».
Ma soffre?
«Beh, ora i miei scarponi sono più piccoli del mio numero, sono 276 millimetri, le dita dentro restano arricciate. Quando in pista c’è un salto, le unghie partono. Quest’inverno ho fatto un mese a meno 25 gradi negli Stati Uniti. Soffro di un principio di congelamento all’alluce sinistro. Mi fa parecchio male. I miei piedi non sono belli, ma valgono tanto».
Perché si scia con i piedi, giusto?
«Sono la parte del corpo più vicina alla neve e con più sensibilità. Bisogna stare sui piedi: è in mezzo a loro che deve cadere il baricentro».
Li ha assicurati?
«Ho assicurato tutto il pacchetto del corpo».
Il drink con Sofia Goggia termina con un abbraccio. Dopo un paio di bicchieri di un serio Primitivo del Salento, alzandoci dal tavolino di God Save the Food, in zona Tortona a Milano, poco prima che andasse a farsi un’infiltrazione di acido ialuronico al ginocchio. Sofia ha messo in bacheca la quarta Coppa del Mondo di discesa libera, chiuso il mega trolley con l’attrezzatura, riposto gli sci in garage e salutato via Instagram “i fan”. Come li ha ribattezzati il suo skiman Barnaba Greppi, detto Baby: «E anche per questa stagione abbiamo dato». La campionessa olimpica, oro a Pyeongchang 2018 e argento a Pechino 2022, atleta delle Fiamme Gialle, è pronta per spegnere il cellulare. Prima, deve assaporare il premio popolarità: «Finalmente incontro il mio idolo: Carlo Verdone. Poi vacanza totale».
È la donna più veloce del “circo bianco” e le chiedono sempre se ha paura di passare tra le porte a 140 chilometri orari. Ma la velocità lei la crea o la domina?
«Non sono brava a crearla da zero. Ma, sopra certe velocità, non c’è nessuna che sappia sciare come me. Per il mio schema motorio, accelerare da fermo è faticoso. Ma se me ne dai un po’, la mantengo e la incremento. Altre funzionano al contrario. Diciamo che non so gestire la lentezza».
Respira bene o va in apnea?
«Ho delle routine mattutine per muovere correttamente il diaframma. Lo sport ad alti livelli logora il corpo. Ma, la mente, in maniera più subdola».
In che senso?
«Quando ha troppo da gestire, un atleta si perde facilmente in un bicchiere d’acqua. Ci fissiamo su dettagli. Io se mi incaglio in qualcosa, fatico a mettere la retromarcia. Il vero motore è l’emotività. È quella la vera fregatura. È lì che va fatto il lavoro più importante».
ma lei cosa teme?
«Sono irrequieta. La mia paura è non essere mai abbastanza. Non credo di essermi mai goduta un risultato nella vita. Ho sempre vissuto la vittoria come un compito fatto per passare subito al successivo. Questa idea che la gara più importante sia sempre la prossima l’ho trasferita in tanti aspetti della mia vita. Non riesco a vivere dimensioni e ritmi separati».
Significa che è in adrenalina da performance costante?
«Quando sono dentro il flusso della stagione: addio. Ci rivediamo ad aprile. Devo per forza fare così. Non ho un minuto per un caffè con nessuno. Non parlo solo di allenamenti massacranti, trasferte, gare. Anche a livello professionale lo sciatore non è un calciatore con la maglietta piegata in spogliatoio. Io devo fare e pensare a tutto, borsone incluso».
Non ho capito se si fa aiutare da una psicologa o da una psichiatra?
«Prima avevo una psicologa sportiva. Mi ci voleva qualcosa di più. Ora ho una psichiatra che mi aiuta ad affrontare l’oggettività delle cose».
Ma ha un trauma da superare?
«Non uno specifico. Essere costantemente in equilibrio su tutto, lucida, tagliente, è un lavoro che va supportato».
È vero che da piccola era una peste?
«A scuola sono stata sospesa per risse. Avevo una certa aggressività repressa. Forse per la voglia di emergere. Facevo la regina cattiva anche quando recitavo nello spettacolino di Alice nel Paese delle Meraviglie. Dovevo dire: “Orrore, orrore, i fenicotteri rosa” e giocare a golf con i poveri animali. Ora capisce che con questa R moscia un po’ snob… Ci vuole una certa autoironia per pronunciare quella frase. Ridevano tutti come matti».
La prendevano in giro per la voce?
«Sono stata sempre bullizzata. Anche perché ero un po’ trasandata. Mai avuto una vita sociale. No adolescenza, no feste, solo, sempre tutto per avere una vita sugli sci. È stata una scelta».
Ci ripensa spesso?
«Sì, perché a 30 anni capisco di aver vissuto poco con spensieratezza e mi manca. Io sono un soldatino che esegue le cose da fare. Sono tante e non mi risparmio. Non mi lasciano mai stare. Mio padre, credo sia uno dei pochi genitori che dice alla figlia: “Sofia, vorrei che ti divertissi di più, assapora il valore della gioventù. Le gioie non te le sai godere, non voglio che ti ritrovi a rimuginare”».
Lui è stato severo con lei?
«Mio padre è un uomo che amo intensamente. È stato una figura impattante, ma ne ho beccate tante. Quando litigavo con mio fratello Tommaso, tre anni più grande, e lo menavo, papà mi chiudeva in cantinetta a Bergamo. Una stanzetta tipo crotto, buio, con le pietre fredde e gli scaffali pieni di bottiglie di vino. Stavo nel buio. Detto così suona da Telefono Azzurro. Una volta sono scappata di casa a Foppolo. I miei hanno chiamato la polizia. Quando sono sbucata fuori nel piazzale, mamma mia le urla».
Per fortuna si è sfogata con lo sci. Cosa sente quando scende?
«L’attrezzo, la neve, io. Quando avverti che la curva sei tu, allora è bellissimo. Ma il massimo è la gara. Quando uscirò dalla bolla della competizione, avrò una vita per fare la turista».
Cose le piace tanto della competizione?
«Zaino, riscaldamento, sagomi le scarpette con il phon, metti la tutina, prendi la borsetta delle lenti per la maschera. Sei in partenza, ultime indicazioni, silenzio, alzi uno sci e lo skiman pulisce le lamine. Uno, poi l’altro. Il cancelletto è davanti. Ti battono sulla spalla. Qualcuno ti dice: Deux minutes. Chiudi gli scarponi. Inizi a visualizzare la pista come un sogno. Poi dicono: Trente secondes. Poi respiri. Metti i bastoni fuori dalla partenza. Spingi, vai. Per me l’opportunità di giocarmela è tutto. La luce verde al traguardo è vittoria».
Si riguarda molto?
«Molto e guardo tanto anche le altre. Per vedere cosa fanno di diverso, perché c’è da imparare da tutte. Per esempio, a Crans-Montana in Svizzera, quest’anno ho fatto una prova, sono caduta alla quinta porta. Ho spigolato, mi sono girata, sono passata vicino alla rete, c’era una curva a gomito e ho fatto un testacoda. Però il giorno dopo ho vinto. Perché? Ho studiato le altre. Guardo quelle che fanno meglio nei singoli settori della pista».
Si percepisce un legittimo orgoglio.
«Lo so che sembra arroganza. Rimango solo stupita: da tre anni sono la prima in discesa libera e nessuno mi ha mai chiesto un consiglio? Boh. Arroganza è sentirsi migliore degli altri, autostima è non sentirsi inferiore a nessuno».
Si vede bella?
«Working in progress. A volte mi sento proprio figa. Insomma, cerco di valorizzarmi. Certo in tuta al supermercato… Meno».
Con abito Giorgio Armani, l’orologio di brillanti e i gioielli Chopard meglio?
«Vanità femminile. Il “brillo” mi piace. Ma cerco di emanare luce come essere umano».
Perdere invece fa male?
«Mi fa schifo la mediocrità. Io non faccio il compitino. Se hai dato tutto, ogni risultato va bene».
Come stanno le mucche che ha vinto grazie alle gare in Val d’Isère?
«Benissimo. Ambrosia e Isère sono in alpeggio a Lenna. La prima va coperta da un bel toro orobico. Sono l’unica che le ha volute portare a casa. I francesi non ci credevano».
Le campionesse sono molto amate, no?
«Quando arrivavo 50ª stavo simpatica a tutti. Non è semplice fare uno sport di gruppo se poi devi performare da singolo. Le dinamiche non sono semplici e io sono molto riservata. Raramente mi aggrego alle iniziative delle altre, che comunque non mi invitano mai».
Si sente sola?
«La solitudine mi fa paura, ma non riesco a fare a meno di stare con lei».
L’affetto è importante?
«Non sento di averne ricevuto tanto nella mia vita. Ho avuto quello degli italiani quando mi sono fatta male. Ma non ho mai sperimentato un amore incondizionato».
Lo cerca?
«Prima dentro di me, poi vedremo».