“SONO UN AGRICOLTORE APOLIDE” – MATTEO MESSINA DENARO RISPONDE AI GIUDICI CON UNA SUPERCAZZOLA E, RISPETTANDO LA TRADIZIONE MAFIOSA, NEGA I RAPPORTI CON COSA NOSTRA: “SONO DI CASTELVETRANO, MA UNA RESIDENZA NON CE L’HO PIÙ DA TEMPO PERCHÉ IL COMUNE TANTI ANNI FA MI HA CANCELLATO. NON FACCIO PARTE DI NESSUNA ASSOCIAZIONE. SOPRANNOMI? ME LI HANNO ATTACCATI I GIORNALI. BENI? ME LI AVETE TOLTI TUTTI E SE COMUNQUE QUALCOSA HO, NON LO DICO. SAREBBE STUPIDO…”
«Ero un agricoltore, lavoravo in campagna. Sono di Castelvetrano, ma una residenza non ce l’ho più da tempo perché il Comune tanti anni fa mi ha cancellato. Io ormai sono un apolide…Non faccio parte di nessuna associazione. Quel che so di Cosa nostra lo so dai giornali». Toni secchi a tratti irriverenti e ironici e la recita del tradizionale copione dei veri capi di Cosa nostra che impone di negare sempre, negare tutto. È un Matteo Messina Denaro rispettoso della «tradizione» mafiosa quello che viene fuori dal primo inedito interrogatorio depositato dalla procura di Palermo che ha sentito il padrino, il 21 febbraio scorso, nel corso di un interrogatorio di garanzia davanti al gip. Uno dei tanti procedimenti penali che lo vedono coinvolto, stavolta con l’accusa di estorsione aggravata. Secondo i magistrati avrebbe minacciato pesantemente la figlia di un prestanome per farsi restituire un terreno che la famiglia Messina Denaro aveva fittiziamente intestato al padre, Alfonso Passanante.
«Ha dei soprannomi?», gli chiede il gip Alfredo Montalto preliminarmente. «Mai avuti. Me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi», dice. E quando il magistrato gli chiede delle sue condizioni economiche il boss risponde: «Non mi manca nulla». «Beni patrimoniali?», prosegue il gip. «Li avevo, me li avete tolti tutti e se comunque qualcosa ho, no lo dico. Sarebbe stupido. Certo che ne ho sennò come potevo vivere fino a ora», replica beffardo. E piccata è anche la risposta sulle condanne riportate. «Credo di sì». Ma quando il magistrato lo incalza aggiunge: «Mi ascolti, io ho detto credo di proposito perché anche voi dall’altra parte mi avete chiesto se ho sentenze definitive lo sapete pure voi e allora l’ho preso con un po’ di umorismo».
Sulla vicenda che gli viene contestata dal pm Gianluca De Leo il boss racconta la sua verità ammettendo di aver scritto una lettera alla vittima per riavere il suo terreno e negando di essersi servito di terze persone per fare arrivare il messaggio che comunque era solo la rivendicazione di una pretesa legittima. «Negli ultimi anni — ha raccontato — vengo a sapere che lei (la figlia di Passanante, ndr) stava vendendo il terreno. Volevo dire alla Passanante che il terreno non è suo, che è mio, perché lo comprò mio padre. E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti». Un’ampia parte dell’interrogatorio depositato dalla Procura è coperto da omissis e riguarda, tra l’altro, i rapporti del padrino con i boss corleonesi che Messina Denaro nega di aver mai visto e la vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo confutando con asprezza le accuse del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca che — ha detto ai pm — «non ha mai incontrato».