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Gli esseri umani preferiscono pensare in termini di storie piuttosto che di fatti, numeri o equazioni, e più semplice è la storia, tanto meglio è. Ogni persona, gruppo e nazione ha i propri racconti e miti. Ma durante il XX secolo le élite globali di New York, Londra, Berlino e Mosca hanno formulato tre grandi narrazioni che ambivano a spiegare il nostro passato fin dalle epoche più remote e a predire il futuro del mondo intero: la narrazione fascista, la narrazione comunista e la narrazione liberale. La seconda guerra mondiale ha sconfitto la narrazione fascista e dalla fine degli anni quaranta fino alla fine degli anni ottanta del Novecento il mondo è divenuto un unico campo di battaglia conteso tra due sole narrazioni: il comunismo e il liberalismo. Una volta andata in frantumi la narrazione comunista, quella liberale è diventata il riferimento principale per comprendere il passato dell’umanità e la guida indispensabile per agire nel mondo del futuro – o così sembrava all’élite globale.
La narrazione liberale celebra il valore e il potere della libertà. Sostiene che per migliaia di anni il genere umano ha vissuto sotto regimi oppressivi che lasciavano ai popoli scarsi diritti politici, ridotte opportunità economiche o limitate libertà personali, e che condizionavano pesantemente i movimenti degli individui, delle idee e delle merci. Ma i popoli hanno lottato per la libertà e, passo dopo passo, la libertà ha guadagnato terreno. I regimi democratici hanno sostituito le dittature. Le libere imprese hanno superato le restrizioni economiche. I popoli hanno imparato a pensare in modo autonomo e a seguire i loro cuori, invece che obbedire ciecamente a sacerdoti intolleranti e subire tradizioni retrograde. Strade aperte, ponti robusti e aeroporti affollati hanno rimpiazzato mura, fossati e recinti di filo spinato. La narrazione liberale ammette che nel mondo non tutto va bene, e che restano numerosi ostacoli da superare. Gran parte del nostro pianeta è dominata da tiranni, e anche nei paesi più liberali molti cittadini patiscono povertà, violenza e oppressione.
Ma almeno sappiamo ciò che occorre fare per risolvere questi problemi: dare alle persone più libertà. Abbiamo bisogno di proteggere i diritti umani, di garantire a ciascuno la possibilità di votare, di instaurare liberi mercati e di permettere che gli individui, le idee e le merci possano circolare in tutto il mondo nella maniera più semplice possibile. Secondo questa panacea liberale – accettata ugualmente, con piccole variazioni, da George W. Bush e Barack Obama – se continuiamo nel programma di liberalizzazione e globalizzazione dei nostri sistemi politici ed economici, saremo in grado di garantire pace e prosperità a tutti quanti.1 I paesi che partecipano a questa inarrestabile marcia del progresso saranno premiati con pace e prosperità più rapidamente. I paesi che tentano di opporre resistenza all’inevitabile ne pagheranno le conseguenze, finché anch’essi vedranno la luce, apriranno i loro confini e liberalizzeranno le loro società, la loro politica e i loro mercati. Ci vorrà del tempo, ma alla fine persino la Corea del Nord, l’Iraq ed El Salvador assomiglieranno alla Danimarca o allo Iowa. Nel corso degli anni novanta e duemila questa narrazione è diventata un mantra globale. Molti governi, dal Brasile all’India, hanno adottato le ricette liberali nel tentativo di unirsi all’inesorabile marcia della storia.
Quei governi che non erano riusciti a fare questa trasformazione sembravano fossili appartenenti a un’epoca remota. Nel 1997 il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, sicuro di sé, rimproverò il governo cinese perché si rifiutava di liberalizzare la politica cinese, mettendosi così “dalla parte sbagliata della storia”.2 Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, però, la delusione per la narrazione liberale si è diffusa in ampie fasce della popolazione mondiale. Muri e firewall sono tornati di moda. Cresce la resistenza nei confronti dell’immigrazione e degli accordi commerciali. I governi democratici aggrediscono senza riserve l’indipendenza del sistema giudiziario, limitano la libertà di stampa e trattano qualsiasi oppositore come un traditore. Uomini forti in paesi come la Turchia e la Russia sperimentano nuove forme di democrazia illiberale e veri e propri regimi dittatoriali. Oggi pochi potrebbero, con la stessa sicurezza di Clinton, dichiarare che il partito comunista cinese è dalla parte sbagliata della storia. Il 2016 – segnato dal voto sulla Brexit in Gran Bretagna e dall’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti – ha rappresentato il momento in cui questa ondata di disillusione ha raggiunto il cuore degli stati liberali dell’Europa occidentale e del Nord America.
Mentre ancora pochi anni fa americani ed europei erano impegnati a liberalizzare l’Iraq e la Libia con la forza delle armi, molta gente in Kentucky e nello Yorkshire è arrivata al punto di concepire la visione liberale come indesiderabile o come impossibile. Alcuni hanno scoperto di apprezzare i vecchi ordinamenti gerarchici, o semplicemente non vogliono rinunciare ai loro privilegi di razza, nazionali o di genere. Altri hanno concluso (a torto o a ragione) che la liberalizzazione e la globalizzazione costituiscono una sorta di enorme racket che privilegia una ristrettissima élite a spese delle masse. Nel 1938 gli esseri umani potevano scegliere fra tre narrazioni globali, nel 1968 le opzioni si erano ridotte a due, nel 1998 sembrava prevalere una singola narrazione; nel 2018 non ne è rimasta alcuna. Non c’è quindi da stupirsi se le élite liberali, che hanno dominato gran parte del pianeta negli ultimi decenni, si trovino oggi scioccate e disorientate. Disporre di una narrazione è una condizione molto rassicurante. Ogni cosa è perfettamente chiara. Mentre rimanere di colpo privi di una narrazione fa paura. Nulla ha più senso. Come le élite sovietiche alla fine degli anni ottanta del Novecento, i liberali non comprendono come la storia abbia potuto deviare dal suo corso preordinato, e non dispongono di un altro riferimento per interpretare la realtà. Il disorientamento li porta a pensare in termini apocalittici, come se il fallimento della storia nel giungere al lieto fine che ci si era immaginati significhi necessariamente precipitare nell’abisso. Senza strumenti critici per interpretare la realtà, la mente s’incaglia nelle secche di scenari catastrofici. Come un individuo che crede che un forte mal di testa sia il sintomo di un tumore terminale al cervello, molti liberali temono che la Brexit e l’ascesa di Donald Trump preannuncino la fine della civiltà umana.
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