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Emanuela Orlandi non è stata rapita?

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Il giornalista Pino Nicotri è stato ascoltato ieri (sabato, ndr) dalla commissione bicamerale d’inchiesta che indaga sul mistero della scomparsa […]

Il giornalista Pino Nicotri è stato ascoltato ieri (sabato, ndr) dalla commissione bicamerale d’inchiesta che indaga sul mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana di cui non si hanno notizie dal 22 giugno del 1983.

Secondo quanto riportato dall’Ansa, Nicotri che da tempo segue il caso ha dichiarato ai parlamentari membri della commissione che crede sia stato “un normale caso di violenza, una prepotenza finita male di un membro del cosiddetto giro amical-familiare, potrebbe essere stato un amico di famiglia, un cugino, uno zio”. Molte parti dell’audizione, durata circa tre ore, sono state secretate su richiesta dello stesso Nicotri.

Alla domanda su come faccia ad avvalorare questa ipotesi, l’autore del libro “Emanuela Orlandi, Il rapimento che non c’è”, ha detto che in conclusione, “c’è una cosa che taglia la testa al toro: se tu metti in giro per tutta Roma il numero di casa tua con i manifesti su un caso come questo, ovvio che si scatena la mitomania, ma non è un complotto.

L’ipotesi più semplice è quella che viene eliminata e ricordo che non è mai stata fornita una prova del rapimento, poi tutto il contorno delle telefonate alla fine sono una roba che non serve a niente”.

Pino Nicotri ha consegnato alla Commissione anche del materiale tra cui sei file di testo e due sonori, uno riguarda una sua conversazione con don Gaetano Civitillo, e l’altro è parte di una sua telefonata con l’avvocato della famiglia Orlandi Gennaro Egidio che “non si sarebbe mostrato sorpreso nel momento in cui Nicotri gli riferiva della scarsità di indagini nei confronti del Meneguzzi”. […]

Anche se in molte parti l’audizione è stata secretata secondo quanto si apprende da diverse fonti, il giornalista si è dilungato con i commissari sul ruolo dello zio di Emanuela, Mario Meneguzzi. In parti non secretate, Nicotri ha comunque ripercorso il giorno della scomparsa il 22 giugno 1983, rispetto all’alibi del Meneguzzi. “Lui è stato interrogato da Sica – ha detto – sui suoi alibi due anni dopo, non lo deve avere convinto perché lo ha fatto pedinare; poi la memoria dei familiari diventa, diciamo, accomodante”.

“Nel suo libro – continua – Pietro Orlandi dice che la zia Anna, la moglie di Mario Meneguzzi era amorevolmente intenta a fare la pizza a casa invece poi viene fuori che era a Torano, non dico che le testimonianze dei familiari siano fasulle, diciamo smemorate”.

Alla domanda del deputato Dario Iaia su quali siano a suo parere gli elementi che non quadrano, Nicotri ha risposto: “Per quanto riguarda Torano, ho letto su Facebook una Meneguzzi che ha detto che da Torano a Roma ci sono 300 km invece sono una novantina che si possono fare comodamente in autostrada.

Un’altra cosa non notata sufficientemente, è che Meneguzzi dice che Ercole Orlandi gli ha telefonato alle 20:30 e poi lo ha ribeccato solo a mezzanotte, ma se la zia Anna era a Torano, Mario Meneguzzi era davvero a Torano? Insomma, dove stava quest’uomo? Nessuno ha chiesto in maniera seria ai parenti dove stava Mario Meneguzzi”.

[…] Infine, Nicotri ha poi bollato come “una sciocchezza” la pista di Londra, sostenendo che una grafologa “ha dimostrato che la presunta firma dell’ex arcivescovo di Canterbury George Carey” in una lettera del 1993 che sarebbe stata inviata all’allora vicario di Roma, Ugo Poletti, sarebbe in realtà “una firma falsa reperita su Google da documenti veri firmati, è stato un trasferire le firme su un testo”.

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