Dai libanesi verrà ricordato come uno dei peggiori massacri della storia recente del Paese: 31 morti finora, tra cui 7 donne e tre bambini, oltre a un lungo elenco di esponenti di Hezbollah, 16 almeno. Ma nella memoria dei vinti, ovvero dell’opposizione siriana stritolata dalla repressione di Assad, la strage di venerdì a Beirut Sud evoca altri fantasmi.
Nella palazzina di Dahieh colpita dal missile israeliano era in corso una riunione della Radwan, l’unità d’élite di Hezbollah, e tre le vittime figura anche il nome di Hussein Ali Ghandour, nato nel 1962 a Nabatiye, nel Sud del Libano, entrato nell’organizzazione armata fin dalla sua nascita, negli anni Ottanta, col nome di battaglia “Nidal”.
Gli oppositori siriani lo ricordano come “il macellaio di Madaya”, uno dei comandanti di Hezbollah responsabili dell’assedio alla città siriana, a un’ora di auto da Damasco, che fece centinaia di morti, sconvolse il mondo per la sua ferocia e si concluse con un colossale scambio di popolazione con la provincia ribelle di Idlib. L’assedio durò due anni. I ribelli avevano conquistato la città sottraendola al controllo governativo nel luglio del 2015, nel pieno della guerra civile siriana. Hezbollah e l’Iran erano corsi in aiuto di Assad. I combattenti sciiti circondarono la città, impedendo l’accesso anche alle organizzazioni umanitarie.
Durante l’assedio i 40mila residenti di Madaya, circa quattro volte la popolazione originaria della città, furono circondati da mine antiuomo, posti di blocco e cecchini, senza poter rifornire le case di acqua e cibo. Molti morirono di fame e malnutrizione. Quando, dopo una lunga trattativa, i primi operatori umanitari riuscirono a entrare si trovarono di fronte immagini scioccanti: “A Madaya vedi scheletri che camminano”.