Quando oggi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky arriverà nel resort di Borgo Egnazia troverà una buona notizia ad attenderlo. Dopo ulteriori tre giorni di negoziati gli sherpa del G7 hanno trovato un compromesso sui fondi russi congelati in Belgio. Se tutto andrà per il meglio, perché le incognite dell’accordo sono ancora tante, prima della fine dell’anno l’Ucraina riceverà dai sette Stati del vertice uno o più assegni, che facilmente potranno superare i 60 miliardi di euro.
I termini dell’accordo sono questi. Gli interessi, o extra profitti, dei 200 e passa miliardi russi sequestrati, faranno da garanzia e ripagheranno un prestito collettivo, probabilmente spalmato su dieci anni o dodici anni, per il quale Washington è pronta a mettere 50 miliardi, il Canada 5, il Giappone 2 (andranno al Bilancio di Kiev e non in armamenti, la Costituzione di Tokyo lo vieta), mentre Italia, Francia e Germania rimandano al prossimo Consiglio europeo con pieni poteri, con le nuove cariche apicali di Bruxelles, la definizione del contributo europeo. Londra invece parteciperà con un suo strumento finanziario e deve ancora decidere la cifra.
È una delle conclusioni del vertice che si apre oggi in Puglia, dove da stamattina sono attesi Joe Biden, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e gli altri membri del G7 e dove per due giorni si confronteranno almeno una ventina di capi di Stato e di governo, visto che saranno presenti anche leader che non appartengono al formato del vertice, da Erdogan all’indiano Modi, fresco di rielezione, al brasiliano Lula, mentre il discusso leader dell’Arabia Saudita Bin Salman non parteciperà.
Uno dei passi in avanti decisivi, sui fondi russi, riguarda la tassazione dei profitti: il Belgio ci ha rinunciato, dunque i cosiddetti frozen assets russi genereranno interessi annuali non più per 3,5 miliardi l’anno, ma per 5. Nelle conclusioni del vertice verrà indicata una cifra al ribasso, cautelativa e approssimativa, di 50 miliardi, ma lo schema definitivo e la cifra esatta che sarà girata a Kiev sarà superiore ed emergerà nel prossimo G7 dei ministri finanziari, che dopo il passaggio politico dovrebbero trovare la cornice giuridica e finanziaria precisa. Manca ancora uno dei tasselli più importanti: liberare l’uso dei profitti dal veto possibile di Ungheria o altri Paesi della Ue, che deve votare ogni sei mesi sulla questione. Ma anche questa è una questione che sarà affrontata successivamente.
In ogni caso per Meloni si tratta di un obiettivo raggiunto, soprattutto in forma collettiva. Un altro risultato che insegue la nostra premier è quello di uscire dal vertice con un Piano Mattei rinforzato, con una maggiore sinergia con i progetti omologhi di americani ed europei. Non per nulla il summit si apre con una sessione dedicata all’Africa, e non per nulla quando gli americani hanno chiesto uno spazio nell’agenda per discutere del loro programma globale per le infrastrutture, alternativo alla Via della Seta cinese, programma adottato nel G7 di due anni fa in Germania e che ha una porzione dedicata all’Africa. Nello staff di Giorgia Meloni hanno deciso di aprire la porta con generosità: del cosiddetto PGII — Partnership for Global Infrastructure and Investment — si discuterà oggi a porte chiuse fra i sette leader, per una buona ora, a partire delle 17. E fra gli altri sono stati invitati anche Larry Fink, il capo del fondo BlackRock, insieme con l’amministratore delegato di Microsoft, Satya Nadella.