Europa barzelletta, e’ costretta a piegarsi alla cina. Xi Jinping torna in Europa a cinque anni dall’ultimo viaggio. Nel frattempo ci ha mentito sul Covid e ha appoggiato Putin nella guerra in Ucraina e senza pagare dazio. Rampini: “In certi settori la dipendenza occidentale dalle produzioni cinesi è diventata così estrema da rendere problematica una ricostruzione della nostra indipendenza economica. Siamo difronte a una nuova invasione dei nostri mercati da parte del ‘made in China’ in tutti i settori, dai più tradizionali alle tecnologie avanzate…”. Ingombrante e indispensabile, ostile ed essenziale: Xi Jinping torna in Europa cinque anni dopo. Dalla sua ultima visita la relazione tra Est e Ovest ha subito peggioramenti drastici. Per colpa sua. Prima la sua gestione iniziale della pandemia tra bugie e arroganza.
Poi l’appoggio a Putin nell’aggressione all’Ucraina, dettato dalla volontà di indebolire l’Occidente. Ma Xi l’ha fatta franca, non ha pagato dei prezzi sostanziali per i danni arrecati all’Europa. L’uscita dell’Italia dalle Nuove Vie della Seta è solo una conferma che il clima si è raffreddato, non ha conseguenze rilevanti. Xi incontra Macron e Ursula von der Leyen. Il primo è la voce europea più determinata sul fronte geopolitico, si spinge più avanti di tutti nell’appoggio all’Ucraina. Però non sono all’ordine del giorno sanzioni serie contro Pechino per gli aiuti che fornisce alla Russia. Con la presidente della Commissione il tema sarà anzitutto commerciale. La ripresa dell’economia cinese è tutta trainata dalle esportazioni, è in atto una nuova invasione dei nostri mercati da parte del «made in China» in ogni settore, dai più tradizionali alle tecnologie avanzate, dall’acciaio ai pannelli solari, dalla chimica alle auto elettriche.
Talvolta questa invasione è mascherata transitando da Paesi terzi, per esempio nel Sud-Est asiatico, per aggirare barriere. L’Unione europea si scopre dipendente da tecnologie cinesi perfino per i controlli di sicurezza alle sue frontiere: le apparecchiature dei porti e degli aeroporti che controllano container e bagagli sono in gran parte della Repubblica Popolare. Il boom delle esportazioni cinesi consente a Xi di rinviare i conti con i suoi problemi interni e con i suoi errori: crac immobiliare, alta disoccupazione giovanile, calo degli investimenti esteri. Difficoltà in parte legate alla sterzata socialista e dirigista impressa dal leader, creando un clima più pesante per l’imprenditoria privata. È un paradosso che Xi debba il rilancio della sua crescita proprio a quell’Occidente di cui teorizza apertamente il declino. Ma intanto la sua scommessa può ancora essere vincente.
Da una parte sta cercando in modo pragmatico un nuovo equilibrio: all’interno sposa un modello più statalista che capitalista e al tempo stesso investe in scienza, tecnologia, innovazione, armamenti; all’estero «munge» l’Occidente finché può ma rafforza i rapporti con il Grande Sud globale. Le sue ambizioni imperiali sono visibili e inquietanti nella sfera dell’Indo-Pacifico, a farne le spese in modo più brutale in questo momento sono le Filippine. Bruxelles ha aperto indagini sulla concorrenza sleale cinese in vari settori, dall’auto elettrica alle apparecchiature biomediche; prepara i «dazi verdi» che colpirebbero importazioni prodotte in fabbriche inquinanti. l’Unione imita l’America che a sua volta fa propria la «ricetta cinese» a base di politica industriale, aiuti di Stato. Ma in certi settori la dipendenza occidentale dalle produzioni cinesi è diventata così estrema da rendere problematica una ricostruzione della nostra indipendenza economica.