«Siamo malati di ansia». «Abbiamo il diritto di stare bene». «Vogliamo gli psicologi a scuola». «Sentiamo il cuore in gola». «Curateci». Era il 2021 e con le prime manifestazioni dopo la clausura del Covid migliaia di studenti tornavano nelle strade affamati di aria e di vita. Accadeva tre anni fa, ma nulla è cambiato. Bisogna partire dalle immagini di quei cortei per capire perché oggi il disagio giovanile sia diventato così esplosivo, una vera emergenza sociale. E al centro c’è la scuola, accusata a torto o a ragione di essere (anche) il luogo dell’inquietudine.
«Da anni faccio psicoterapia e questo mi ha salvato. Ma basta affacciarsi nei bagni del mio liceo per vedere crisi di pianto e attacchi di panico. C’è chi non vuole più entrare in classe, ragazze che mangiano e vomitano, a tanti, troppi, vengono prescritti psicofarmaci. I prof ci mettono addosso un’ansia assurda, instaurano un regime di terrore: come se da un brutto voto dipendesse il nostro futuro». Matteo Barbantini ha 17 anni, fa il liceo sperimentale al “Mamiani” di Roma, parla con cognizione adulta.
«La situazione è grave. Ho amici che non escono più dalle loro camere, altri hanno mollato lo studio. Ma per avere un colloquio con lo psicologo scolastico ci vogliono due mesi di attesa. Nessuno ci ascolta, siamo soli». Sfogo di un adolescente? No, le sue parole trovano eco nell’allarme lanciato dagli stessi dirigenti scolastici: «Spesso dobbiamo chiamare l’ambulanza per ragazze e ragazzi con crisi di panico. Depressione, disturbi alimentari: ci sentiamo smarriti anche noi».
I dati sulla salute mentale dei giovani sono noti e drammatici: due milioni di adolescenti tra i 10 e i 20 anni manifestano disagi mentali, il 75% degli studenti denuncia di avere “spesso” episodi di ansia causati dalla scuola, il 67% ha paura di voti e giudizi, il 34% desidera fuggire dalla scuola. I ragazzi soffrono ma i prof non sembrano stare meglio, impreparati forse alla crisi esistenziale di un’intera generazione.
Matteo Barbantini, Marta Davella, Samuel Postiglione, Zoe Zevio. Hanno 16 e 17 anni, vivono e hanno vissuto sulla loro pelle i disagi dei loro coetanei, il Covid, il lockdown. Fanno parte della Rete degli studenti medi che già nel 2022 con un questionario dal titolo “Chiedimi come sto” aveva alzato il velo su quella che è diventata un’emergenza nazionale: l’angoscia dei giovanissimi.
Zoe ad esempio, 17 anni, di Verona, studentessa al liceo artistico, «In primo superiore ho iniziato a soffrire di un disturbo ansioso legato alle performance troppo alte che la scuola chiedeva. Il sentirmi inadeguata mi ha portato a uno stato depressivo, in classe mi sembrava di soffocare, a metà anno ho lasciato il liceo e ho studiato in casa. Avevo la sensazione che per i prof e le prof contasse soltanto il voto — e io avevo voti altissimi — non chi ci fosse dietro quel numero, con tutte le sue sofferenze e i suoi problemi. In secondo liceo mi sono fermata, ho smesso di studiare, ho detto basta, passavo le giornate sul letto, la mia famiglia per fortuna è stata in grado di aiutarmi, ho perso l’anno ma piano piano mi sono ripresa».
È Samuel Postiglione, 16 anni, triestino, liceo delle Scienze Umane “Giosuè Carducci” a tirare le fila. «La scuola? Oggi fa più male che bene. Anche io ho avuto crisi di panico, bisogna passare notti a studiare per ottenere anche la semplice sufficienza, la richiesta è inutilmente alta, nozionistica e slegata dalle reali necessità della vita. Dicono che siamo viziati ma si rendono conto del mondo in cui ci siamo ritrovati a vivere? I prof vedono soltanto il programma, noi vorremmo che fossero educatori. Nel mio liceo c’è un solo psicologo per 1.300 ragazzi, un sacco di giovani prendono psicofarmaci e qual è risposta del governo? Scuola del merito e manganelli alle manifestazioni».